';

A chi giova il silenzio di Bernardo Provenzano
27 Mag 2013 08:47

Esistono pochissime immagini del super boss Bernardo Provenzano, il corleonese vissuto per 43 anni in latitanza.

Due identikit, una foto tessera di quand’era ragazzo e alcuni scatti del giorno del suo arresto, l’11 aprile del 2006.

Da allora, recluso in regime di carcere duro a Parma, pur rimanendo il protagonista assoluto di inchieste scottanti come quella sulla Trattativa, di Binnu abbiamo saputo poco e quel che abbiamo saputo, per bocca del figlio, che l’anno scorso mi aveva rilasciato un’intervista per Servizio Pubblico, non aveva convinto l’opinione pubblica.

La denuncia sullo stato di salute del padre che aveva fatto Angelo Provenzano, suonava come una scontata litania di “parte” per ottenere benefici carcerari.

Le immagini mostrate giovedì sera dal programma di Michele Santoro, agli atti del processo sulla Trattativa, sono al centro di una nuova indagine dei magistrati di Palermo.

Da quando il boss di Cosa Nostra, la sera del nove maggio dell’anno scorso avrebbe tentato il suicidio in carcere con una busta di plastica, gli interrogativi sullo stato di salute di Provenzano, più volte rimarcati dai suoi legali e dai familiari, oggi sono anche gli interrogativi della Procura.

Com’è possibile che nella cella di un 41bis sia entrato un sacchetto di plastica? È vero, come riferisce l’onorevole Sonia Alfano che il vecchio padrino l’anno scorso accarezzava l’idea di iniziare a collaborare? Come si sono verificate le numerose cadute e i ricoveri documentati nel diario clinico, con particolare attenzione all’ultima che lo ha ridotto in coma a causa di quel grosso ematoma in testa che si vede nel video del colloquio con i familiari del 17 dicembre scorso, trasmesso da Servizio Pubblico?

Mentre la posizione di Provenzano è stata stralciata dal processo in quanto ritenuto ormai incapace d’intendere e di volere, si indaga per capire se queste cadute siano autoprodotte, forse a causa di un galoppante morbo di Parkinson, o se vi siano state delle “intercessioni” sul boss per impedirgli di parlare. Tutto ciò in un momento in cui, nel decreto di rinvio a giudizio degli imputati della Trattativa Stato mafia, il giudice sottolinea la possibile partecipazione alla trattativa di altri soggetti, probabilmente legati ad ambienti istituzionali, fino ad ora rimasti in ombra e non coinvolti dal processo.

È l’ennesimo giallo che intorpidisce la storia dell’ex super latitante di Cosa Nostra. I magistrati palermitani contavano sul supporto delle videoregistrazioni interne alla cella di Provenzano ma, una nota ufficiale del dipartimento del penitenziario di Parma, a Febbraio ha negato l’esistenza delle telecamere all’interno della cella. Gli unici video a disposizione della Procura sono quelli dei colloqui.

Dunque non si potrà mai sapere cosa è realmente accaduto la sera del nove maggio, qual è stata la dinamica del presunto suicidio e non potremo mai capire come si sia prodotto quel grosso ematoma che lo ha ridotto in fin di vita.

Dettagli che non influiscono solo sugli interrogativi legati all’opportunità o meno di tenere un vegetale al 41bis, ma che gettano un’ombra inquietante su quella che può essere la “gestione” di un archivio di informazioni infinite, che sta dentro quella testa livida del boss, che potrebbero fornire la chiave degli ultimi 30, forse 40 anni di storia del nostro Paese.

Molti di coloro i quali, in questi giorni a Palermo hanno sfilato in memoria di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli uomini della scorta rimasti vittime della strage di Capaci, hanno taciuto per vent’anni e ancora oggi faticano a mettere a fuoco i ricordi eppure, ogni anno, il 23 maggio si riempiono la bocca di paroloni come “ricerca della verità” e giù applausi, stendardi, bandiere e tappeti rossi.


Dalla stessa categoria

Lascia un commento