';

Innovazione, agroalimentare e turismo. Il Sud del new deal
20 Mag 2013 08:00

Lontani gli anni Novanta quando i pensatori eretici lodavano il fatto che il Sud avesse scampato una grande industrializzazione preservando territorio e popolazione da rendere felice con la fase post del pensiero meridiano che recuperasse gli antichi saperi e le virtù’ civiche. Le Utopie sono belle da narrare ma a volte si scontrano con il peso della realtà. Quella della crisi si è abbattuta contro il Meridione come un tornado che ha eliminato aziende e occupati.

I bollettini del Censis non hanno appelli. Il divario con il Nord continua a inoltrarsi verso uno dei maggiori scompensi interni del mondo occidentale. In un lustro il Mezzogiorno ha perso il 60 per cento dei posti di lavoro e dieci di Pil. In tre anni hanno chiuso 7600 imprese manifatturiere.

Sembra preistoria quando dopo il terremoto del 1980 la Cna di Lavello, nell’estremo nord-est della Basilicata, si avviava a una piccola produzione di reggiseni in subfornitura per un’impresa emiliana. Gli economisti progressisti nelle loro pubblicazioni potevano descrivere la capacità del carpe diem di saper cogliere l’occasione giusta a pochi chilometri dalla Fiat a Melfi analizzata con i nuovi assetti del modo di produzione postfordista oggi diventati ennesimo inganno. Fabbrica snella e specializzazione manifatturiera oggi da quelle parti sono in crisi come in molte altre aree del Sud.

Le statistiche dicono che i redditi complessivi dei meridionali sono inferiori a quelli dei greci.

Meraviglia che la rivolta sociale non abbia prodotto significativi moti di piazza e, quindi, cerchi risposte. E le trovi nella capacità di risparmio familiare, un ammortizzatore sociale che inizia a nonessere bastevole per far fronte ai consumi giovanili, al lavoro nero e precario che sfugge alle analisi e alla presenza delle mafie che tra legale e illegale risultano essere una delle maggiori holding che dispensa salari utili alla pace sociale.

Intanto un quarto complessivo degli universitari meridionali si sposta verso il Centro nord. Si è persa quella tendenza propulsiva che nel corso degli anni Novanta ha registrato un grande movimento di emigrazione di ritorno dei giovani laureati che dopo aver studiato al Nord o all’estero tornavano a casa per utilizzare la propria laurea contaminando anche gli usi e
i costumi locali attraverso la loro esperienza di fuoriesede. Molte città meridionali hanno modificato in meglio la loro vivibilità’ creativa e culturale con questo fenomeno che meriterebbe maggiore attenzione da parte di economia e politica. Pur con l’iconografia cambiata del trolley al posto della valigia di cartone, come i loro nonni i giovani meridionali del XXI secolo preferiscono
con maggior consapevolezza del passato la sfida globale di un altrove che ti dia maggiori opportunità rispetto a quelle che non trovi nel tuo territorio.

L’Ilva di Taranto deve gestire un piano di fermata d’impianti che prevede riduzione media di orario del lavoro che è del 34 per cento. Lavorare meno ma lavorare tutti ma con meno salario e lo spettro della salute consumata. Il vescovo di Taranto ha invitato Papa Francesco a recarsi in questo avamposto della catastrofe sociale e questo appello restituisce uno contesto che veramente non sa più’ a chi votarsi per poter vivere un’esistenza degna di questo nome.

La crisi dell’Ilva ha ridimensionato i traffici del porto, ha bloccato un investimento di 150 milioni di euro della Cementir e il turismo con la visibilità mediatica delle neoplasie ha subito un’altra bella mazzata. A Termini Imerese 3500 posti di lavoro perso, qualcuno comincia a capire che non è più il caso di insistere con l’auto ma che forse vale la pena diversificare
con turismo e bioenergia sfruttando anche l’istituenda zona franca per attirare investimenti.

Ma c’è anche un Sud che resiste. Poco mappato e ricordato. Il distretto agroalimentare tra Nocera Inferiore e Gragnano è una reltà ancora molto dinamica, uno dei pochi ad essere in crescita, nonostante la crisi. E sempre più giovani sono attratti dal ritorno alla terra. Per tutti questi motivi, e per garantire una compattezza al settore agricolo campano è nata Agrinsieme, un coordinamento tra Cia, Confagricoltura, Copagri e alleanza delle cooperative agroalimentari. Il sistema distributivo è giudicato buono, salsa di pomodoro, pastifici, cipollotti di Nocera, carciofi di Pagani, olio, vino doc, agrumi, formaggi, legumi riescono a raggiungere mercati internazionali e grande distribuzione nazionale.

E la Maginot della resistenza sotto il Volturno annovera anche molti marchi che danno alla qualità italiana ancora forza alla grande capacità attrattiva al mangiar bene tricolore che intriga anche i mercati dell’Oriente. Gli armatori napoletani sono al vertice del mercato crociere (per Msc 150000 passeggeri tra 25 aprile e primo maggio) e anche Grimaldi ha il vento in poppa per il proprio commercio.

Le produzioni aerospaziali in Puglia insieme ad un grande sviluppo dell’industria della creatività sono fattori dinamici, in Sicilia sono buoni i numeri del fotovoltaico e della tecnologia. Nel Mezzogiorno è posizionata anche la maggior parte degli impianti di raffinazione degli idrocarburi e la Basilicata è il maggior giacimento energetico nazionale.

Un new deal che sappia tener conto di quello che funziona al Sud e può essere sviluppato è previsto dai dossier del governo Letta?


Dalla stessa categoria

Lascia un commento