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“Siamo tutte Fabiana. Dobbiamo avere il coraggio di cambiare”
28 Mag 2013 18:23

«Sono stata fraintesa», così inizia la mia telefonata con Francesca Chaouqui, la trentenne calabrese la cui lettera, pubblicata sulla pagina 18 del Corriere della Sera, sta suscitando un vespaio di polemiche. Probabilmente neppure se lo immaginava il fronte popolare che si sarebbe innalzato contro le sue dichiarazioni, e quando la chiamo ho appena il tempo di presentarmi che è già un fiume in piena.

LA LETTERA PUBBLICATA È STATA TAGLIATA

«Faccia capire che io adoro la Calabria, non avrei mai denigrato la mia terra, la mia lettera è stata tagliata e si concludeva con l’amore per la mia terra. Ci sono state tante reazioni e hanno travisato ciò che ho voluto affermare. Minimamente, mai avrei dato quel titolo». ”Sono nata nella terra dove è stata uccisa Fabiana: io sono scappata, lei non c’è riuscita”, questo il titolo della missiva incriminata con cui Francesca Chaouqui ha voluto commentare con delle riflessioni personali, il brutale assassinio di Fabiana Luzzi, la quattordicenne di Corigliano Calabro uccisa brutalmente dal fidanzato diciassettenne.

“VOLEVO RACCONTARE QUEL RETAGGIO CHE NEI PICCOLI CENTRI ANCORA PERSISTE”

«Per prima cosa io sono orgogliosa di essere calabrese, e difendo le mie origini, ma la Calabria è anche fatta di queste piccole realtà», come quella che ha descritto nella lettera che ha inviato al direttore, in cui ci si sente dire “cittu ca tu si filmmina, non su così pi tia, fai silenzio, sei una donna non sono cose per te”. «Ecco», prosegue, «volevo raccontare questa sovrastruttura, questo retaggio da cui quei ragazzi, le loro madri provengono», ma sa bene, e lo ribadisce più volte che la sua regione sia anche «piena di gente che vuole combattere». «Volevo lanciare un messaggio alle donne calabresi, dire loro “Non accontentavi, se subite un qualunque tipo di violenza, ribellatevi”. Era questo il mio senso, non denigrare la mia terra».
“Eppure dalla sua lettera, pare quasi che lei sia stata costretta ad allontanarsi per sfuggire alla mentalità retrograda di san Sosti in cui è nata e cresciuta”, insisto io. «Di certo in Calabria riuscire a realizzarsi è difficile» mi risponde, «e la ragione per cui sono andata via è stata realizzarmi professionalmente; avevo bisogno di un orizzonte più grande. Anche se fossi nata a Piacenza me ne sarei andata».

“IN CALABRIA HO LASCIATO UN PEZZO DI CUORE”

In Calabria e nel suo paese, sottolinea, ci ha lasciato un pezzo di cuore; è qui che ritorna sempre ed è qui che cerca di investire «per fare nel mio piccolo qualcosa per la mia terra».
La adora, ma non dimentica le negatività in essa residenti:« Non ho mai voluto denigrarla, ma dobbiamo anche dire che persone che la pensano così come ho descritto ci sono, altrimenti la ‘ndrangheta non ci sarebbe. Il fatto che le persone accettino il pizzo e vadano avanti facendo finta di niente lo dimostra. Se tutti si ribellassero la ‘ndrangheta non ci sarebbe» e la nostra sarebbe la più bella delle terre.

“SIAMO TUTTI FABIANA”

«Ho solo raccontato una storia e questa storia ci riguarda in prima persona; la vicenda di Fabiana mi ha colpito molto per la brutalità del gesto e per una frase che ho letto sui quotidiani attribuita alla madre che al ragazzo avrebbe detto “dove me l’hai gettata”, come se avesse accettato che ci fossero problemi tra la figlia e il ragazzo. Magari se qualcuno avesse fatto qualcosa di più, le famiglie, la scoietà, le persone, quella tragedia non sarebbe accaduta». «Ma volevo anche dire ai calabresi: “Abbiate il coraggio di cambiare anche se siete stati fuori, ritornate e fate qualcosa per il paese”.
“Ma lei ci ritornerà a stare in Calabria?” le domando. La risposta mi spiazza: «No».


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