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Sud, guai, emigrazione. Il triangolo che dobbiamo combattere
26 Mag 2013 10:50

Non è mai facile scrivere il primo articolo per un giornale. Ma in questo caso tutto è stato spontaneo. Senza ostacoli.

Perché Resto a Sud è un’affermazione che racchiude in sé l’entità di una scelta che può essere materiale o immateriale. Infatti nelle radici temporali di un individuo possono coesistere innumerevoli piani di lettura sulle modalità del trattenersi a Sud.

Nel ritornello di una canzone degli Almamegretta, aleggia uno dei grandi sensi storici dell’antropologia meridiana: “dall’Africa ‘o Mediterraneo st’anema nun se ferma maje domanda ‘e figli suoje ch’ stato ma sente sulamente uaje”. La parola Sud, nell’immaginario geopolitico collettivo, è sovente messa in relazione alla parola…Guai! Ma quando arriveremo alla pacificazione mediatica del Sud? Ovvero la rimozione mentale definitiva del trinomio Sud-Guai-Emigrazione? In questa fase della mia vita sono anche io vittima di questo perfido trinomio. Posso rimanere a Sud col cuore, ma non il corpo. Non so ancora per quanto tempo vivrò in questa configurazione gassosa e mediana, in cui materia e spirito mischiano le proprie carte ogni giorno. Sono scisso tra Londra e la Sardegna: dalla metropoli globale al Mediterraneo isolano.

Ovvero il meridiano oltre il quale mi è impossibile sentirmi al centro del mondo. Edoardo Galeano, nel suo libro “Le vene aperte dell’America Latina”, narrò mirabilmente le ingiustizie a cui erano sottoposte le popolazioni del Sud America: un tormento inabissato nelle contraddizioni di un continente ricco per pochi ma povero per molti. Ma tanto bello da lasciar volar via il fiato dall’anima senza perdere la leggerezza della propria umanità più intima.

Ogni qual volta contemplo il panorama che dai bastioni di Alghero avvinghia Capo Caccia e il Mediterraneo, quel dolce sbuffo proveniente dall’anima sfreccia regolarmente via senza che la mia volontà possegga alcun potere di ingabbiarlo. E rifletto sulla mia Isola, la Sardegna. Sa domo ‘e su coro e de sa vida. Il luogo in cui un Caronte buono mi ha traghettato dal Sud Italia, la mia Magna Grecia, quando avevo poco meno di un anno. Così dentro di me convivono due Sud diversi. Il primo è quello delle origini ed è legato alle vene aperte della città di Napoli. Nei vicoli adombrati e popolari della metropoli meridionale scorre parte del mio Io: nel suo ventre c’è l’inizio del tutto. Maradona, un altro figlio del Sud al pari di Totò ed Edoardo de Filippo, è il profeta massimo di questo tempo di passaggio.

Il mio secondo Sud è un po’ diverso. Perché è la mia vera casa ed è circondata dal mare, immersa in una storia millenaria i cui segni alloggiano senza tempo nell’estetica quotidiana dell’andare. La Sardegna: lo spazio dove arde la fiamma del mio amore per la terra e dove esiste il confine estremo del mio sguardo sul pianeta: il mare Mediterraneo. La Sardegna. Sofferente per le ferite che silenziosamente si porta dentro.

Queste lacerazioni spesso si condensano in angoli bui in cui il sole non batte mai, coagulandosi nell’immagine idilliaca che il marketing turistico ha diffuso nel mondo. Ma le vene aperte dell’Isola sono numerose. Sanguinano nell’indifferenza della politica e per questo sento il dovere di raccontarle. Perché il paradiso perduto immortalato nel film Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto di Lina Wertmüller, è una delle terre più inquinate d’Europa, ospita alcuni dei più grandi poligoni militari del mondo, è soggetta a servitù militari pari allo 80% del territorio militare italiano, è sede della più grande raffineria del Mediterraneo, è il luogo in cui si riscontra la più alta percentuale di metri quadrati di centri commerciali per singolo abitante, il mercato del lavoro è dipeso per decenni da un’industria pesante altamente inquinante.

L’elenco delle sciagure potrebbe continuare, ma credo che sia già abbastanza dettagliato per ribadire un semplice fatto: il mio essere resta a Sud per combattere con l’arma con cui mi destreggio meglio: la penna. Il popolo sardo deve emanciparsi e autodeterminarsi per riconquistare quella libertà che per troppo tempo ha colpevolmente abbandonato nella soffitta della storia. Ora o mai più. Il diritto al futuro è un diritto, non una condanna ad un presente di eterno disagio.


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