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Condannato a 30 anni ma non ha mai scontato la pena. Grazie all’Argentina. E ora la pena è prescritta
16 Lug 2013 10:05

E’ un uomo libero, ma ancora non lo sa. I suoi legali non gli hanno ancora detto che è riuscito a chiudere i conti con la giustizia italiana senza farsi nemmeno un giorno dei 30 anni di carcere cui era stato condannato per il sequestro e l’omicidio del giovane rampollo di una ricca famiglia catanese.

Una vicenda complicatissima quella di cui è protagonista Giovanni Di Pietro, 57 anni, fatta di sentenze mai notificate ed estradizioni mai concesse: un mix di ingredienti e una storia di negata giustizia.

La sentenza definitiva che lo riteneva colpevole del sequestro e dell’assassinio di Franz Trovato non gli è stata mai notificata. Di Pietro, prima che i giudici si pronunciassero, si era trasferito in Argentina. Paese che, in virtù di una particolare interpretazione dello status di contumace, non ha mai concesso all’Italia l’estradizione.

Ora, la pena è estinta per decorso del termine di 30 anni dalla data di irrevocabilità del verdetto. L’8 luglio la corte d’appello di Catania, su istanza del legale dell’imputato e della Procura generale ha emesso un’ordinanza di “risoluzione di incidente di esecuzione”. Il collegio non ha potuto fare altro che prendere atto della situazione e dichiarare “estinta la pena di reclusione per avvenuta prescrizione”.

La storia ha inizio il 19 maggio 1978, quando Franz Trovato, ventiseienne studente figlio di un facoltoso industriale di Acireale, venne sequestrato. I rapitori chiesero un riscatto di quattro miliardi di vecchie lire. Il giovane venne ucciso dopo ventuno giorni di prigionia.

A settembre del 1979 Di Pietro, intanto emigrato oltre oceano, venne arrestato in Argentina per rapina, furto e falsificazione di documenti. La polizia gli sequestrò una serie di documenti che lo coinvolgevano nel rapimento.

E il 10 maggio 1979 arrivò in Italia la sentenza di condanna, confermata in appello il 6 maggio 1981 e resa definitiva dalla Cassazione: Di Pietro ebbe 30 anni e fu dichiarato colpevole in contumacia. Ma nel frattempo in Argentina era tornato libero.

Nel ’90 un secondo arresto nel Paese sudamericano e una nuova scarcerazione. A fine ottobre 2012 ancora nessuno gli aveva notificato il verdetto e tutte le richieste di estradizione inviate alle autorità argentine erano tornate al mittente. L’avvocato allora avanzò istanza di incidente di esecuzione che, così si legge nell’ordinanza della Corte d’appello, il procuratore generale di Catania fece sua.

Nella stessa ordinanza si legge che Di Pietro, “benché risultato reperibile nello stato dell’Argentina, queste autorità hanno sino ad oggi negato l’estradizione del condannato”. “Non è stata una svista della Procura di Catania.

È successo perché l’Argentina non ha mai riconosciuto l’estradizione. La Procura di Catania l’aveva chiesta e l’Argentina l’ha negata. Passati trent’anni materialmente la pena si estingue.

La legge prevede questo”, ha detto l’avvocato di Di Pietro, Tommaso De Lisi, del Foro di Palermo. Il penalista non ha ancora comunicato al suo assistito il provvedimento dei giudici catanesi.

È entrato nel merito della questione giuridica invece il procuratore di Catania Giovanni Salvi: “credo – ha spiegato – che l’Argentina abbia rifiutato di notificargli la sentenza e di concedere l’estradizione perché si tratta di un procedimento in contumacia.

L’Argentina non distingue tra il processo in assenza dell’imputato e il processo alla persona reperita ma che si rifiuta di comparire, quindi latitante, o quello a chi ha avuto l’avviso e semplicemente non compare. Quest’ultimo è considerato anche lui irreperibile“.


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