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L’emigrazione dei malati di cancro del Molise
10 Lug 2013 08:19

Viaggio nelle strutture sanitarie molisane dove passano pazienti e numeri legati alle malattie neoplastiche, in aumento fra persone sempre più giovani. La paura che cresce mentre le risposte scarseggiano, la chimera del registro tumori, promesso da 12 anni, il rinvio ai dati Istat che però sono vecchi di 4 anni, il parere di chi controlla il fenomeno nella Asrem. E l’ammissione dei medici di base: “Ci si ammala di più, e noi lo sappiamo. Se ci coinvolgessero nelle indagini sarebbe tutto più semplice e trasparente”. Intanto un dato confermato: metà dei pazienti oncologici ricoverati all’Ematologia di Pescara arriva dal Molise.

La quotidianità può essere pericolosa? Respirare può essere pericoloso? Se ci fosse una risposta possibile forse si potrebbe riuscire ad accettare quello che sta succedendo. Se si riuscissero a mettere insieme una causa e un effetto – una relazione, un motivo, una colpa – allora si potrebbe decifrare il senso di tante vite che per metà del tempo lottano per vivere.

Intanto, tra la speranza e la certezza di una risposta possibile, c’è un dato: oggi il 50 per cento dei giovani pazienti ricoverati nel reparto di ematologia dell’ospedale di Pescara è molisano. Solo nelle ultime settimane sono stati registrati tre nuove casi. I pazienti arrivano da Campobasso, da Termoli, da San Martino in Pensilis, da Portocannone, da Palata e da quell’area bassomolisana che di recente ha registrato in prima pagina la sua fragilità, la sua paura, la sua speranza e la sua arroganza nell’affrontare il problema: da un lato l’ennesima giovane vittima e dall’altro la mancanza di fondi per monitorare l’aria che si respira. Due pesi e due misure, ma una sola bilancia: quella della cruda realtà quotidiana.

L’ultima radioterapia non è servita, l’ultima chemioterapia non è servita. I medici decidono un ultimo passaggio nel tunnel della speranza dove provano a guardare ancora una volta dentro il corpo e dentro la testa. Trovano tutto e niente: «Siamo davvero spiacenti ma non c’è più nulla da fare». Il vuoto, il silenzio che di solito accompagna i destinatari del messaggio viene interrotto da altre parole consolatorie che consigliano luoghi e posti per un fine vita indolore: l’Hospice.

L’Hospice come ultima tappa: «Un malato terminale non può scegliere quando morire, ma può e deve pretendere di vivere nel migliore dei modi ogni istante che lo separa dalla morte e allo stesso tempo di abbandonare la vita nella maniera più dignitosa e serena». Le parole del dottor Mariano Flocco, responsabile dall’Hospice ‘Madre Teresa di Calcutta’ di Larino, sono così leggere da creare un senso di calma e di fiducia, che però presto viene interrotta da altre parole: «la struttura accoglie ogni anno mediamente 180 pazienti, ma non sono più solo malati terminali tumorali. Ci sono anche affetti da altre patologie, perché negli ultimi anni la richiesta delle famiglie di avviare un percorso di ‘dolce fine vita’ per il proprio caro è aumentato in maniera esponenziale tanto da trasformare la ragione sociale stessa della struttura.

Da Hospice specifico per malati terminali di tumori a Hospice generico». Questo passaggio ha due conseguenze negative. Il primo ci dice che il Molise è una regione malata, il secondo non ci dice quanti pazienti annualmente accolti nella struttura frentana sono malati terminali per cancro. «Non sono in grado di fornirle un dato preciso perché come le ho detto i pazienti che ospitiamo non sono più ‘specifici’ ma generici. Comunque noi, come tutti, compiliamo la scheda paziente e la inviamo periodicamente all’Istat dove può trovare riscontri numerici e dati statici».

Peccato che i dati Istat, a cui tutti gli addetti ai lavori ci hanno rimandato, siano fermi al 2009. Non è troppo aggiornata nemmeno la banca dati del Registro di mortalità del Distretto Sanitario del Basso Molise, uno strumento utile per la ricezione e il controllo della qualità delle informazioni sanitarie certificate sulla scheda di morte, ferma al 2012. Ma la banca dati non prevede la diffusione delle informazioni né l’analisi del dato per fini epidemiologici, di programmazione. Due semplici tabelle, una serie di numeri, cifre che non possono essere utilizzate, confrontate e analizzate: una vecchia di 4 anni l’altra aggiornata periodicamente.

La domanda è naturale: perché si è drammaticamente ancora fermi al palo? Alla paura di ammalarsi si associa l’incertezza numerica, il dato che manca: una relazione scientifica tra causa ed effetto, dunque un registro tumori.

Attualmente sono attivi 31 registri di popolazione o specializzati che seguono complessivamente un quarto della popolazione italiana. Le informazioni raccolte includono dati anagrafici e sanitari essenziali per lo studio dei percorsi diagnostico-terapeutici, la ricerca sulle cause del cancro, per la valutazione dei trattamenti più efficaci, la progettazione di interventi di prevenzione e per la programmazione delle spese sanitarie.

In Molise è una chimera, annunciata a ripetizione da un decennio. L’ultimo proclama: lo scorso marzo la Giunta regionale del Molise approvava le indicazioni operative per l’attivazione del Registro Tumori della Popolazione, del Registro Unico di Mortalità e del Registro dei Mesoteliomi. L’allora assessore alla sanità, Filoteo Di Sandro, soddisfatto dichiarava: «Uno strumento di confronto tra i dati epidemiologici riguardanti i tumori nelle diverse aree geografiche della regione che permetterà di disporre di dati certi ed aggiornati. Avere sotto controllo la distribuzione territoriale della malattia e la sua evoluzione nella popolazione è di fondamentale importanza per conoscere la problematica e affrontarla disponendo di servizi sanitari ottimali. Per questi motivi esprimo grande soddisfazione per essere finalmente riusciti a dotare la Regione Molise di questo importante strumento».

Era il 2001 quando la Regione Molise – Giovanni Di Stasi Presidente – stipulò una convenzione con la prestigiosa Fondazione Ramazzini di Bologna per avere in pochi anni dati precisi sui morti per cancro e leucemie del territorio del Basso Molise. Qualche mese dopo cambiò la Giunta, fu eletto Michele Iorio, e il progetto finì in pasto al pesciolino d’argento. Passano tre anni e viene annunciata un’altra convenzione, stavolta con la Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori.

Un’altra bugia: la convenzione venne firmata solo l’anno successivo, nel 2005, quando si avviò il lavoro di reperimento delle schede di mortalità nelle zone di Campobasso, Termoli e Isernia. Lo screening doveva durare due anni, promisero alla Regione, che pagò quel lavoro 60mila euro. Passano altre sette anni, e la Giunta Regionale con delibera n.297 avvia l’iter per istituire i tre registri insieme al Centro Operativo Regionale, impegnando il Direttore Generale dell’Asrem ad attivare i provvedimenti esecutivi. Passa un altro anno da quell’annuncio, e del battesimo del registro tumori non si hanno notizie. Sarà l’ennesima frottola per calmare un’opinione pubblica sempre più esasperata?

A sentir il dottor Francesco Carrozza, della Oncologia dell’ospedale “Cardarelli” di Campobasso e responsabile dello screening senologico regionale, non è così: «Qualche mese fa la Regione Molise ha dato il via, in modo ufficiale, all’approvazione di atti amministrativi che hanno messo in moto la macchina che dovrà percorrere un lungo viaggio che condurrà dritti verso il registro tumori».

Un lungo viaggio fatto di tappe intermedie con soste programmate e altre impreviste. «Per avere un registro tumori degno di questo nome bisogna lavorare e attendere almeno 4-5 anni se il percorso si snoderà in maniera lineare ma, dato che siamo un’equipe pubblica e non privata dobbiamo sempre e comunque dar conto, sia dal punto di vista economico che scientifico, alla Regione e all’Asrem».

Eppure la voglia di sapere, di capire se vi sono nessi tra l’ambiente in cui si vive e le patologie che contagiano la popolazione, è tanta. Così come è tanta la voglia di sapere se il numero di ammalati è in aumento o meno: «Così come me la pone, la domanda assume contorni banali perché come già le ho detto per avere un documento veritiero c’è bisogno di tempo e, anche se volessi darle qualche numero non avrebbe alcuna validità scientifica ma potrebbe essere anche strumentalizzato. La rimando ai dati Istat dove potrà in qualche modo soddisfare la sete di risposta. Io capisco il desiderio dell’opinione pubblica ma la stessa deve avere capire che ci sono dei tempi, che ripeto, possono essere più o meno lunghi».

Ma i dati Istat, appunto, sono vecchi di 4 anni. I tumori sono la seconda causa di morte in Basso Molise: subito dopo le malattie cardiovascolari, sono le neoplasie a uccidere di più nell’area basso molisana. La conferma era arrivata nel 2011 dalla Asrem stessa. All’inizio di quell’anno, poche settimane dopo lo scandalo del Cosib, il Consiglio regionale aveva approvato una delibera per impegnare la Giunta di Michele Iorio a produrre l’auspicata legge per monitorare e studiare i casi di neoplasie.

La ricerca della Fondazione Lorenzo Milani e dell’Istituto Superiore di Sanità, presentata nel 2010 a Termoli, durata tre anni, aveva messo nero su bianco un dato allarmante: in Basso Molise si muore più che nel resto della regione per leucemie e tumori del sangue; a Termoli e nel suo hinterland, da Petacciato a Ururi passando per Campomarino, Guglionesi, San Martino in Pensilis e San Giacomo degli Schiavoni, si registrano alcune forme di cancro che sembrano essere “specifiche” del territorio, quindi endemiche, e che sono presenti in numeri superiori rispetto al resto del Molise. E già nel 2008 i primi empirici dati scientifici avevano confermato che il Basso Molise è la zona a maggiore tasso epidemiologico.

Numeri che a distanza di due anni vengono confermati dai medici di base, i quali non solo aprono i loro registri ma in qualche modo testimoniano che l’ambiente in cui viviamo non è propriamente salubre. Nicola D’Addario, medico di base di Portocannone e Presidente dello Snamid (Società Nazionale di Aggiornamento per il Medico di Medicina Generale) alla nostra richiesta di informazioni in merito all’aumento o meno di casi tumorali non si sottrae, tutt’altro: «Se solo ci fosse il coinvolgimento dei medici di base, e ad oggi nessuno si è fatto sentire, tutto sarebbe più semplice e trasparente: a me, così come ai miei colleghi, basta un click per dirle quanti sono i pazienti affetti da patologie neoplastiche, da quali patologie tumorali e così via.

Certo non posso dirle quale sia la causa scatenante, ma posso dirle con estrema franchezza e onestà che il numero è in costante aumento, vuoi perché la strumentazione in nostro possesso permette di individuare prima e meglio l’eventuale ‘male’, vuoi perché l’ambiente in cui viviamo non è propriamente pulito».

La naturalezza con cui il dottor D’Addario parla fa quasi paura. «Che l’aria che respiriamo – prosegue D’Addario – sia inquinata è un dato di fatto. Non ci vuole un registro tumori per sospettare e capire questo. Le faccio un esempio concreto. Negli ultimi 4-5 anni il numero di allergie alle vie respiratorie ha colpito e colpisce in maniera capillare la maggioranza della popolazione. Non parlo solo di allergie di stagione, quella al polline tanto per capirci, ma di tutta una serie di allergie che la cittadinanza patisce per l’intero anno. Questo è un segnale allarmante perché, volendo fare un paragone, è un po’ come la spia della benzina alla macchina: se non ci ferma a fare rifornimento la macchina si arresta. Ovvero, se non si tiene conto di questi segnali rischiamo di non venirne più fuori».

Il mancato coinvolgimento non solo dei medici di base è un errore, chiaramente, che riduce le possibilità della prevenzione. «La strumentazione in nostro possesso ci ha permesso di individuare molti casi prima che questi diventassero cronici. La prevenzione è un fattore imprescindibile. La nostra regione è una delle migliori nel settore: è dotata dei migliori macchinari su scala nazionale. Ciò che allarma è la risposta della popolazione a tale argomento. In basso Molise solo il 25-30 per cento degli interpellati risponde, e di questo 30 per cento, l’80 per cento è donna».

Dati che preoccupano, parole che pesano: «Il numero è in costante aumento, e l’età nella quale ci si ammala si abbassa». Così, nell’attesa di avere un registro tumori, le domande rimangono sempre le stesse: la quotidianità può essere pericolosa? Respirare può essere pericoloso? Purtroppo l’unica risposta che possiamo dare è questa: in Molise ammalarsi di cancro è facile così come morirne. Il difficile è sapere perché.


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