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Dan Fante: “Io, mio padre e il dio di mio padre”
29 Ago 2013 15:19

Scrittura, alcol e sopravvivenza: è il filo invisibile che tiene insieme la storia della sua famiglia, ne è convinto. “Vengo da quattro generazioni di bevitori. Mio padre ha smesso a 50 anni, dopo che ha contratto il diabete. Mio fratello Nicholas è morto a causa dell’alcolismo, nel 1991, schiacciato da un’auto. Io sono stato alcoldipendente a lungo e nella mia attività, ad un certo punto, ho trovato la forza di uscirne. Di fare pulizia”.

Una giovinezza squassata e poi, sulle orme del genitore, si è messo a scrivere. Dan Fante si racconta. È a Torricella Peligna, piccolo centro della provincia di Chieti, dove si è concluso, da qualche giorno, l’ottavo Festival dedicato a suo padre John Fante, annuale prestigioso appuntamento letterario dal titolo “Il dio di mio padre”. Una volta all’anno, prendendo a calci la nostalgia, Dan torna in Abruzzo, a Torricella, nei luoghi da cui partì, da emigrante, suo nonno, col passaporto e, con in tasca, il sogno dell’America e di fare il muratore. “Da ragazzo – dice – capita che rifiuti ciò che sei. Poi capisci che devi riprenderti ciò che ti appartiene, a cominciare dalle radici. Perché io sono la mia storia, ma anche la storia di mio padre, sono la storia dei miei nonni”.

Dan adesso ha “fatto pace” col padre, ma in più d’un romanzo, in “Angeli a pezzi”, ad esempio, e nel recente “Fante: a memoir” descrive un alieno e stentato rapporto genitore-figlio. “Eravamo compagni e ostili. Personalità vigorose, era una lite continua”. Lui, ad un certo momento, in totale rottura con la famiglia, da giovane, è andato via da casa. “Adesso “riposiamo” perché lui non c’è più. Ma se fosse qui, con me, ricominceremmo immediatamente a litigare. Litigheremmo per tutto il tempo: abitudine impossibile da scrostare… Tra noi c’erano gli stessi conflitti che lui aveva con suo padre. Troppo simili e fortemente diversi, una maldestra storia d’amore la nostra”. Che padre era John Fante? “Molto all’italiana: mia madre tirava su i figli e lui giocava a golf… Era irritabile, insolente, caustico, tagliente, e con un zoo in giardino… Questo era mio padre. Ora, da adulto, non lo vorrei diverso”.

Un legame di scontri, di zuffe, di attaccamento inossidabile che si ritrova anche in “Gin e Genio”, antologia poetica di Dan appena uscita in Italia. Pure qui impera la figura del padre. “John Fante è venuto a farmi visita/ anche questa mattina/ mi ha fatto sentire la sua presenza/ dietro la sedia su cui scrivo…”. “Ma per arrivare a questo, a questa simbiosi – commenta la poetessa aquilana Anna Ventura – è dovuto passare molto tempo, e molto dolore. Le “colline ingorde” in cui si sono svolte le loro vite, hanno richiesto il loro prezzo, sia al padre che al figlio, minacciando ad ogni passo la loro intesa, massacrando le loro stesse vite, dominate da un demone più forte delle colline stesse: la passione per la scrittura…”. Che esplode in versi… “Poi mi sono ricordato/ che quello che davvero hai lasciato/ dietro di te/ senza attenzione, senza volerlo,/ non poteva essere né comprato né venduto./ Il regalo di John Fante per me/ è stato/ il suo cuore puro di scrittore/”. E ancora… “Adesso che ho scritto/ dieci anni di libri e commedie (….) questa rabbia/ guida sempre la mia visione delle cose/ ed esige che vada dritto di testa contro la vita/ come un idiota/ in cerca di una fiamma pura e bianca”. Pagine autobiografiche, come quelle di Dan tassista a Los Angeles: “Quando, alle quattro e mezzo del mattino,/ ho quasi finito il mio turno/ dopo che circa 75-100 culi si sono sbattuti/ sul sedile posteriore del mio taxi/ e che sono trascorse/ 12 ore dietro il volante/ (…), mi dirigo a Nord, verso i quartieri residenziali/ i finestrini abbassati/ il taschino della camicia gonfio/ con la mazzetta dei guadagni notturni/ libero di lasciare andare i miei pensieri…”. Lei ha fatto tanti mestieri, dal commesso, al muratore al conducente di taxi. Quando ha deciso che era ora di dare un taglio a tutto e di mettersi a scrivere? “Quando la gente ha cominciato a mandarmi a… fanculo”.

Dagli anni Novanta, grazie anche a Charles Bukowski, la scoperta dell’autore John Fante, dapprima in Europa, poi negli Stati Uniti. “Le sue creazioni – dice Dan – oggi sono considerate senza tempo. Non hanno età. Mio padre rappresenta l’unione tra la letteratura italiana e quella americana, a partire dal ‘900”. Eppure romanzi e racconti all’epoca non furono compresi e, talvolta, non pubblicati. Perché? “Erano troppo passionali per quei tempi, troppo duri. Erano intrisi di energia e di sarcasmo. Erano anche pieni di sofferenza, tant’è che a volte mi chiedo come lui sia sopravvissuto al lavoro”. E chiude: “La mia missione è quella di diffondere la sua opera e di far conoscere la mia. Lo faccio per lui e per me”.


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