';

Nella terra dei fuochi non è tutto veleno
29 Nov 2013 06:51

Avevo un nonno contadino e zappava la terra dei fuochi. Aveva appezzamenti a Marano, grosso Comune a nord di Napoli, a Giugliano, e anche in provincia di Caserta, a Teano, a Mondragone. Un possidente con la zappa in mano. Era un uomo dell’Ottocento, nel senso che era nato proprio nel 1898, e a me la sua data di nascita ha sempre fatto molta impressione. Quando è morto avevo otto anni. Di lui ricordo la magrezza, il portamento fiero, i baffetti, gli occhi pieni d’acqua e le mani nodose. Molto di lui mi é arrivato dai racconti familiari.

Negli anni Quaranta comprava un camion di spazzatura a settimana dal Comune e se lo faceva scaricare nei terreni, perché la monnezza concimava. Era immondizia “buona”: solo scarti alimentari. Non c’era plastica, non c’era ferro, non c’era carta. Poi nella spazzatura del Comune cominciarono a comparire vecchi vestiti, giocattoli, mobili dismessi e mio nonno, come gli altri “campagnuoli” smise di comprarla. Perché faceva male alla salute della terra, che veniva curata come quella di un bambino, con amore infinito, ma non gratuito, perché la terra buona fa buoni frutti, e solo così arrivava il pane.

Penso spesso, in questi giorni, a cosa direbbe mio nonno oggi rispetto a quello che succede alle “sue” terre trentacinque anni dopo. Fusti tossici interrati, spazzatura seminata ovunque fino a toccare le falde acquifere, veleni, roghi, e poi gli impianti legali che non sempre hanno rispettato le norme, l’intreccio tra cattiva politica, affari, aziende del nord, camorra. E un’economia agricola in ginocchio, piegata dall’inquinamento e dalla psicosi.

Oggi il caso esplode e guadagna le prime pagine. Si chiedono bonifiche e stop a tutti gli impianti invasivi. Si crea un calderone indistinto dove finisce dentro il rogo tossico e l’inceneritore, la discarica legale con quella illegale, il rifiuto tossico con quello ordinario. E’ l’eterno pendolo che oscilla tra il silenzio e il caos, senza vie di mezzo.

C’è, sicuramente un risveglio civico, di fronte al quale alcuni si chiedono dove fossero quelli che adesso aprono gli occhi quando la devastazione avanzava in silenzio. É una domanda legittima ma un po’ oziosa. Me la sono fatta, con rabbia, anche io, che ascoltavo e scrivevo cronache e racconti sul traffico dei rifiuti fin dai primi anni Novanta, quando le denunce cadevano nel vuoto, i cittadini votavano sempre gli stessi (quelli che gli garantivano un favore personale), quando i contadini lasciavano la zappa e cedevano le terre in cambio di denaro facile (non certo di minacce), le associazioni di categoria voltavano la faccia dall’altra parte, i sindacati tacevano, i partiti tacevano, la chiesa taceva, le istituzioni tacevano. Me lo ricordo quel clima di oppressiva omertà collettiva, e sento ancora la rabbia. Ma oggi non serve accusarsi reciprocamente. Non serve alzare il ditino e dire io denunciavo già mentre tu eri complice. Non serve perché dalle invettive rabbiose non è mai nato nulla di buono. Oggi il problema è esploso. Dentro ci sono, ovviamente, tutte le nostre contraddizioni. Ora proviamo ad affrontarle. Sciogliamo i nodi, lavoriamo sul futuro. Perché mio nonno contadino questo mi ha lasciato: si semina e si raccoglie, e ogni volta si guarda avanti. La terra marcia dà frutti marci.

Se dalla terra dei fuochi arrivano ancora buoni frutti, non tutto è perduto, perché non tutto è veleno.


Dalla stessa categoria

Lascia un commento