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La disperazione dell’Aquila, direttore di Confcommercio minaccia di darsi fuoco. E spiega perché
14 Gen 2014 07:00

“Ogni saracinesca che si abbassa, ogni insegna che si spegne è una sconfitta per questa città. È un colpo mortale per il commercio, per il turismo”.

Quando riesco a contattarlo al telefono, nel pomeriggio, Celso Cioni, direttore della Confcommercio aquilana, è un fiume in piena.

Si era barricato in mattinata nel bagno della sede aquilana di Bankitalia, minacciando di darsi fuoco, se non avessero trovato ascolto le ragioni del commercio aquilano.

Ne è uscito solo dopo diverse ore di trattative, quando il Prefetto ha assicurato di consegnare al governo le proposte della Confcommercio.

In una città già sotto shock per le inchieste sulle tangenti e per le dimissioni del Sindaco, la protesta di Cioni è un altro pugno allo stomaco.

“La mia non è un’azione contro le banche, né tanto meno contro BANKITALIA. È una reazione per costringere il governo a rivedere le regole del credito bancario. Non è possibile che a L’Aquila, in una città terremotata, dove nel centro storico ci sono ancora i militari, valgano le stesse regole bancarie che altrove. Così ci affamano.

Qui dal 2009 ad oggi hanno chiuso i battenti circa 300 imprese, su 900 attività nel centro storico. È un dato allarmante che abbiamo denunciato più volte, a vari livelli.

Le attività che hanno chiuso, e che vogliono riaprire altrove, hanno grandi difficoltà. Le banche non offrono nessuna agevolazione a chi vuole riaprire.  Per riavviare un’attività si fanno i debiti e se le banche ti chiamano per un assegno protestato, finisce in tragedia.

Chi non ha chiuso la partita IVA, deve pagare l’INPS e l’iscrizione annuale alla Camera di Commercio. Ma se l’attività è chiusa, dove li trovi questi soldi? E anche chi rimane aperto con grande sacrificio è in difficoltà.

Vogliono davvero che ci togliamo la vita o che ci rivolgiamo agli strozzini? Perché se continuiamo a tacere, accadrà anche qui. Se andiamo avanti di questo passo, all’Aquila andranno via tutti”.

“Sono arrivato a fare un gesto disperato dopo le ultime notizie di suicidi di imprenditori stremati, che non ce la fanno ad andare avanti. Ogni giorno vengono da me piccoli imprenditori, che vivono un incubo. Attività storiche, che stanno in piedi da generazioni, mollano. Chi ha avuto il coraggio di riaprire, soprattutto in centro, non ce la fa. In questo paese ci stanno togliendo anche il diritto costituzionale di fare impresa.

La mia protesta è solo un inizio. Il prefetto ci ha assicurato di rappresentare le nostre al governo. Se non accade nulla, seguiranno altri gesti eclatanti”.


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