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All’Università di Cosenza c’è la scritta: “Qui la ‘ndrangheta non entra”
12 Feb 2014 07:23

Corre da un punto all’altro del Mezzogiorno Giancarlo Costabile, 38 anni, calabro-salentino con la passione per il calcio e una fede per il Lecce. Tre anni fa, quando creò il primo corso in Italia di Pedagogia della R-esistenza (si scrive proprio così, con il trattino), ad ascoltarlo c’erano sette studenti. Quest’anno gli iscritti al suo laboratorio sono 500. E crescono a vista d’occhio. Ha un tono di voce mite, controllato, perfino troppo per un uomo che ha deciso di rompere tutti gli schemi accademici e combattere la criminalità con la forza della parola. E nient’altro: anche per questo ha rinunciato a ogni tipo di finanziamento pubblico, anche i pochi spiccioli previsti dalla vecchia riforma Gelmini (ed è quanto dire). E non è raro vederlo mentre attacca da sé i manifesti delle sue iniziative. “All’inizio gli studenti me li strappavano dalla bacheca per fare posto ai propri inviti. Poi, una notte, sono stato io a staccare i loro manifesti. E, così, hanno capito. Ora c’è spazio per tutti”.

Alle spalle di Costabile, nella grande aula dell’Università di Arcavacata, provincia di Cosenza, c’è un grande striscione: “Qui la ‘ndrangheta non entra”. Fa da sfondo a tutte le lezioni ed è lo stesso che esposero le amministrazioni comunali calabresi qualche anno fa. “Dopo un po’ molte vennero sciolte per infiltrazioni mafiose. La verità è che la ‘ndrangheta era già dentro. Il problema, caso mai, era farla uscire”, sussurra con una punta di ironia. Anche alle sue lezioni partecipano studenti dai cognomi ingombranti. Li riconosci dagli abiti griffati e dall’atteggiamento un po’ più distaccato.

“Ma ascoltano la lezione fino alla fine. Da noi la ‘ndrangheta sta diventando un motore di coscienze”. Proprio come insegnava Paolo Freire, uno dei suoi punti di riferimento, il sociologo brasiliano che studiò il rapporto fra oppressori e oppressi, con i vincitori che impongono ai vinti la propria lingua, le proprie parole. “Il linguaggio diventa lo strumento principale nelle mani dei vincitori per modellare la coscienza dei vinti. E’ un po’ quello che succede in Calabria, dove la ‘ndrangheta parla con il silenzio che impone ai cittadini. O con i simboli della violenza“.

Le parole sono importanti. Ma anche il modo un cui si parla non è meno importante. Costabile, le sue lezioni, le tiene sempre in piedi. “Quando si sta seduti le spalle tendono a reclinarsi fino a curvarsi del tutto. Un po’ come quando si baciano le mani ai mafiosi, significa vivere in maniera rassegnata: è l’inginocchiatoio. Un po’ il simbolo del rapporto fra oppressori e oppressi”. Stare in piedi, è anche un modo per affermare il diritto di R-esistere, come recita il suo laboratorio.

“In questa regione, dove quotidianamente abbiamo a che fare con la mafia, non possiamo pensare di insegnare pedagogia raccontando ai ragazzi le teorie sul sesso degli angeli. Per questo i miei due modelli sono da una parte Paolo Freire e dall’altra Don Lorenzo Milani. E non ci limitiamo a fare i seminari. Alle mie lezioni partecipano pentiti, imprenditori minacciati che vivono sotto scorta, magistrari, insomma persone impegnate tutti i giorni contro la ‘ndrangheta, da Pino Masciari a Gaetano Saffiotti, l’imprenditore di Palmi che si è rifiutato di pagare il pizzo alle cosche. Spesso, in Calabria, denunciare equivale alla morte civile prima ancora che fisica ”.  Senza contare, poi, le lezioni “fuori sede”, nei luoghi ad alta concentrazione di criminalità, da Gioia Tauro a Scampia.

Giancarlo Costabile è un fiume in piena: “Abbiamo in mente un’altra idea dell’insegnamento, della comunicazione. Non vogliamo fermarci dietro l’uscio del cambiamento ma, in qualche modo, attuarlo, sollecitarlo, facendo esperienze concrete, bombardando i ragazzi con fonti vive. Ho portato i miei studenti da Don Pino Demasi, il sacerdote di Polistena che ha costituito la seconda cooperativa italiana di beni sequestrati alla ‘ndrangheta, nel cuore del feudo dei  Mammoliti, il clan più potente di Gioia Tauro. E abbiamo organizzato una partita di calcio proprio di fronte alla loro “Reggia”, il vecchio palazzo della Baronessa Cardopatri. Che scena: da una parte l’abitazione della famiglia del boss, dall’altra i beni confiscati dalla Dda. E noi al centro, a giocare la nostra partita per la legalità”. Hanno fatto lo stesso anche a Scampia, con Ciro Corona, in un campo di calcio abbandonato. “Solo zolle e cemento. Abbiamo giocato contro i ragazzi delle Vele. E, lo sa: dopo qualche settimana de Magistris decise di far ripulire il campo e riconsegnarlo al quartiere”.

La domanda sorge spontanea: ma non ha paura? “No, perché la mia pedagogia insegna che per esistere si deve resistere, non possiamo giocare la nostra vita in difesa. Per questo vogliamo organizzarci, fare rete, crescere. Il chirurgo viene valutato dal numero delle vite umane che salva. I pedagoghi dal numero dei ragazzi che strappiamo alla criminalità, dalla forza di diffusione delle nostre idee. Cerchiamo di far capire che la cosa pubblica trasformata in “cosa nostra”, che l’impatto dei rifiuti tossici seppelliti nei terreni più fertili del paese, che  il mare sporco e la sistematica distruzione dell’ambiente rubano il nostro futuro. E poi – continua Costabile – ci sono i numeri dei morti ammazzati. Nel Sud c’è stata negli ultimi vent’anni una vera e propria guerra civile, solo che nessuno ne ha parlato in questi termini”.

Ripeto: non ha paura? “Non sono un eroe – scandisce ora Costabile – ho vissuto per troppo tempo nel silenzio, facendo finta di non vedere, rispecchiando i protocolli e le etichette. Ma qui non siamo in Finlandia, nella nostra terra 7 ragazzi su 10 non lavorano. La ‘ndrangheta sa bene che qualsiasi gesto di intimidazione o di minaccia nei miei confronti moltiplicherebbe gli iscritti al mio seminario. Ma nel Sud si sta davvero muovendo qualcosa, dobbiamo solo rendere permanente ed estesa la nostra rete di denuncia. Anche per dare uno schiaffo a quei razzisti della Lega che considerano i meridionali ontologicamente mafiosi”.


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