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Ha ragione don Ciotti, non ha più senso la parola antimafia
08 Giu 2014 06:27

Penso abbia ragione don Luigi Ciotti quando afferma che ormai la parola antimafia non traduce  più alcun significato: «Una volta era una parola nobile, ora invece è stata talmente snaturata da non dire più nulla».

Anche l’ultima tornata elettorale, al di là dei risultati dei vari schieramenti, ha mostrato soprattutto in Calabria come in realtà prima di combattere la mafia organizzata nelle diverse associazioni, che ormai possiamo dire di conoscere più o meno bene grazie anche ad alcuni pentiti ed al lavoro degli organi inquirenti, dobbiamo impegnarci in prima persona, nessuno può farlo al posto nostro, a combattere quella sorta di mentalità mafiosa talmente connaturale da tradursi spesso in modo di pensare e di agire ritenuto “normale”.

Lo abbiamo ribadito in diverse occasioni: tale mentalità consiste in quell’idea secondo la quale si chiede un favore, quando invece si tratta di un diritto; ricorrere alla raccomandazione di chi riteniamo detenga “il potere” sia esso politico che religioso; ostacolare quelle attività economiche che non escano da una intese “amicali o di appartenenza”; oppure, com’è accaduto in queste elezioni europee, chi tradisce dev’essere punito: primo per fare capire chi comanda, poi perché non è detto che la vendetta è un piatto che dev’essere servito freddo, calda si “gusta” ancora meglio; infine, il considerare lo Stato un’entità nemica, quindi lo si può – o addirittura lo si deve – aggirare e beffare.

Tale sorta di mentalità, permea purtroppo tutte le classi sociali ed presente anche lì dove proprio non ti aspetti di trovarla, in contesti religiosi appunto. Chi ha tradito allora deve pagare e subito possibilmente, se non direttamente, attraverso uno dei suoi.

Non importa che incarico ricopra, né se questo ha a che fare magari con la salute dei cittadini. Ogni tanto mi capita di ragionare sui fatti e come sappiamo il ragionamento spesso comporta il dover porre alcune domande: “ma come prima era valido adesso che non vota più chi avrebbe dovuto non lo è? Dov’è finito il servizio da rendere ai cittadini? E il bene comune? Manco a parlarne evidentemente.

Il messaggio dev’essere chiaro e diretto: chi sgarra paga, e subito.  Uno come Giovanni Falcone questo lo aveva capito bene tanto da ripeter spesso: «se vogliamo combattere efficacemente la mafia non dobbiamo trasformarla in un mostro, né pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia».

Il pensare ed agire mafioso, allora, è un fenomeno molto più diffuso della mafia stessa è una modalità distorta di vivere la propria identità “al di sopra” dei rapporti con il sociale. Esso non riconosce valore agli altri che sono visti solo come meri strumenti, ecco perché torno a ribadire che ha ragione don Ciotti quando afferma che non ha senso la parola “antimafia” e che essa andrebbe sostituita con la parola «responsabilità».

D’altronde, non deve sorprendere come proprio il fondatore del “gruppo Abele”, ritorni su tale valore visto che esso da sempre accompagna l’uomo almeno a partire dal quella risposta davvero “irresponsabile” che Caino offre a Dio che gli chiede conto del sangue del fratello Abele: «sono forse io il custode di mio fratello?»  

Lo Stesso Z. Baumann, all’unisono riconosciuto come uno dei più grandi sociologi contemporanei, richiamando proprio la risposta di Caino, ha ritenuto prioritario in questa nostra società “liquida e globalizzata”, un’assunzione di responsabilità che dall’Antico Testamento fino a filosofi come Levinas traduce l’impegno di ogni uomo, ancora di più di coloro che hanno maggiori responsabilità, amministrative, politiche, istituzionali e religiose. Qualche volta sentiamo parlare di questione morale e di un necessario ritorno dell’etica in politica.

Ma dobbiamo riconoscere l’etica non è mai andata di moda, ha sempre meno “clienti” chi la sponsorizzino testimoniandola. Ha solo se stessa a proprio sostegno, continuando a suggerire in quel “sacrario dell’uomo” che è la coscienza,  come la definisce la Gaudium et Spes al n.16, che  è meglio prendersi cura di qualcuno che lavarsene le mani, essere solidali con l’infelicità dell’altro piuttosto che esservi indifferenti. Infine, che è meglio essere morali, anche se questo non rende più ricchi e potenti gli individui, né le imprese, i politici  ed i religiosi.

È la decisione (dalla storia lunga come abbiamo ricordato sopra) di assumersi le proprie responsabilità, di misurare la qualità di una società in relazione alla qualità dei suoi standard morali, di rispondere del proprio operato nei confronti di Dio per chi crede e dell’uomo sempre, con quell’unica risposta possibile: «si sono io il custode di mio fratello».


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