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Il lavoro che ci attende al Parlamento Europeo
06 Giu 2014 06:04

Questa è la lettera aperta che mi ha inviato Guido Melis, deputato del PD.

Caro Renato, sei diventato un deputato europeo. Forse ricorderai, molti mesi fa, quando ti dissi che quello – il Parlamento europeo – era per te il posto più congeniale. E alle tue resistenze poco convinte di allora, aggiunsi che il parlamento europeo sarebbe diventato un luogo decisivo. Mi pare che questo esito, del resto prevedibie, si stia profilando.

Così com’è, a metà del guado, l’Europa unita non può restare. E’ come se si fosse fermata senza riparo e fosse esposta ai colpi dell’avversario. E avversari l’Europa ne ha tanti, e pericolosissimi, come rivelano i risultati francesi, inglesi, danesi, in parte quelli stessi della Germania. Solo in Italia la deriva antieuropeista e populista è stata bloccata e ricacciata indietro (per adesso); e questo è merito specialmente di Matteo Renzi.
Comunque o l’Europa diventa davvero l’Europa (intendo realizza un’unità politica e non solo monetaria e finanziaria) oppure recede, con esiti che potrebbero essere catasfrofici.

Che l’Europa debba ormai porsi in termini di unità politica compiuta a me sembra evidente, solo che si guardi ai grandi equilibri dell’economia globale. Contano, e conteranno sempre di più, solo le macro-economie. Nelle quali naturalmente vanno difese e affinate le vocazioni particolari (l’Italia in questo può ritagliarsi un ruolo specifico molto peculiare), ma che debono avere ormai una guida continentale.

Esistono grandi ostacoli ancora. Una è la lingua (non esiste una sola lingua europea). Un’altra è la storia antica dei conflitti inter-europei (veniamo da secoli di scannatoi reciproci). Una, infine, è la difficoltà di individuare e valorizzare i fattori unitari di una cultura europea che pure esiste, e andrebbe con opportune politiche valorizzata. Penso al mio campo: a quando manuali scolastici e universitari di storia che facciano perno sulla storia europea e non solo su quella nazionale? Storie comparate (nel mio settore delle istituzioni in Europa , ad esempio). Grandi banche dati su scala continentale. Ricerche su classi dirigenti europee. Una attenzione alle nuove istituzioni, cominciando dalla storia del Parlamento?

Pensare e progettare in europeo. Guardare al resto del mondo da europei. Questa dovrebbe essere, secondo me, la sfida di questi anni.
Aggiungo un tema che ti appartiene e che io posso solo intuire senza esserne specialista: la Rete, la grande Rete che oggi avvolge il pianeta e ne determina l’unità comunicativa, la connessione istantanea, come agisce sull’Europa? Possiamo profittarne per accelerare i processi di integrazione, di fusione delle culture, di unità sostanziale? Qui si apre per te un campo infinito, nel quale nessuno come te può essere determinante.

Certo, tutto questo richiede una politica diversa da quella del passato, anche recente. La centralità egoista della Germania va ridimensionata. I piccoli paesi valorizzati nel loro specifico apporto. Le istituzioni frutto della legittimazione popolare (come il parlamento) fatte contare di più, rispetto a quelle espressione diretta dei governi (questa democrazia asimmetrica, fatta di legittimazione dal basso ma anche di delega dall’alto va corretta, cercando i rimedi istituzionali adatti).

Ci vuole una capacità dei grandi temi di Strasburgo e Bruxelles di entrare nei dibattiti nazionali: cosa sappiamo di quel che fa concretamente il Parlamento europeo dai giornali italiani e dai grandi media? Nulla, o quasi. Apprendo da Luigi Berlinguer dell’ottimo lavoro fatto nel settore giustizia, con modifiche sostanziali della legislazione naziionale, concrete riforme che toccano e migliorano le condizioni dei cittadini dei vari Stati. Ebbene, non se ne sa nulla. Un’informazione europea, dunque, il che tocca, in particolare in Italia, il tema della sprovincializzazione dei media e della loro attenzione ai grandi processi che si svolgono fuori dalla dimensione strettamente nazionale.

Un’ultima cosa, ma decisiva: le piccole patrie (la Catalogna, il Galles, forse la Sardegna). Esiste un fermento inarrestabile, in Europa, che non si può trascurare di affrontare. Tocca al Parlamento trovare le regole, le forme istituzionali per correggere il centralismo degli Stati nazionali e dare spazio alle autonomie. Tema decisivo, esposto a demagogie di ogni genere, che però, come deputato anche della Sardegna, non potrai non affrontare.

Insomma, scusami Renato se ti ho elencato qui una specie di appunto delle cose da fare (molte altre, e concrete, ve ne sarebbero naturalmente). Vuol essere solo un modo di dirti quanto speriamo in te, nella tua intelligenza e nella tua capacità di cambiare le cose. Per questo ti abbiamo sostenuto, del resto. Buon lavoro in Europa, Renato.


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