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Quello di cui la Calabria (non) ha bisogno
15 Ago 2014 04:29

Siamo la regione più povera d’Italia, dato ormai certificato anno dopo anno da qualsiasi istituto statistico e di ricerca, siamo la regione meno industrializzata, quella con la maggiore “esportazione” di cervelli e talenti, quella con l’associazione mafiosa più potente e coesa al Mondo, siamo la terra meno conosciuta, esplorata e partecipata dai media; per alcuni siamo la Calafrica per altri l’ultima regione d’Italia, per altri ancora la Calabrifornia, ma preso atto di tutto questo, di queste fragilità, della disperazione che imperversa, delle contraddizioni, forse è il momento di cominciare a dire quello di cui davvero non abbiamo bisogno, per far emergere quello di cui abbiamo disperatamente necessità.

Perché una terra martoriata come la Calabria adesso, a pochi passi dal baratro, deve aprire gli occhi e dire basta a coloro i quali calpestano quotidianamente o a intervalli di cinque anni la nostra intelligenza, dobbiamo essere in grado di abbandonare alcuni sogni “pericolosi” e valutare la realtà. La Calabria cambia se cambiamo il modo di guardare le cose e gli uomini che devono tramutare le parole in fatti, la speranza in cambiamento, i punti di debolezza in opportunità.

Innanzitutto, non abbiamo più bisogno di quelle persone che fanno dell’autocommiserazione del loro essere calabresi il proprio vessillo e il proprio punto di forza comunicativo; essere calabresi è una cosa normale, come essere piemontesi o molisani.

Ogni terra ha i suoi limiti e le sue tragedie e forse evitare di piangersi addosso e agire di più sul territorio sarebbe un passo verso la soluzione dei problemi. Quei problemi, che troppo spesso si tramutano in trampolino di lancio e opportunità per pochi, che da paladini della giustizia o vessati “lacrimatoi” diventano presto fantasmi, trovando posto a tavoli lontani dalla Calabria. Mentre tanti altri continuano a lottare nei territori ignorati dai grandi media e dalle “lobby” che contano.

Non abbiamo bisogno di “nuovi” imposti da Roma e battezzati in terra calabra dai soliti vecchi “rais” che non vogliono mollare lo scranno, non abbiamo bisogno di personaggi che appaiono ogni cinque anni, come comete, sempre pronti a reclamare quanto potrebbero fare per la Calabria se solo venissero “unti dal Signore”, per poi sparire abbandonando i progetti e non curando la costruzione di nulla di concreto, curando invece nei successivi quattro anni, sia in privato che sulle poltrone pubbliche, solo i propri interessi. Non abbiamo bisogno di nuove associazioni che nascono sotto il sole di agosto con le radici già “cotte” e pronte ad appassire definitivamente all’avvicinarsi dell’autunno, come successo tante volte in passato.

La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni, per questo abbiamo bisogno non di propositi e promesse, ma di storie che rappresentino e incarnino un cambiamento reale lontano dagli inciuci, dai potentati di turno, dai poteri oscuri che come un burattinaio occulto muovono i fili di tanti in Calabria, talmente tanti da perderne la cognizione e la contezza. Ricordiamoci di guardare ai fatti e alle storie, leggiamo i giornali con senso critico, guardiamo quello che accade sul Web, chiediamo e chiediamoci qual è la verità, poiché di inganni ne abbiamo subiti abbastanza, di “rinnovatori” che dietro le quinte si inchinano ai soliti noti o baciano le mani, ne abbiamo (ahimé) conosciuti altrettanti che ancora continuano ad alimentare il teatrino del rinnovamento “invocato”, ma che mai arriverà. Tutto ciò è anzitutto colpa loro, di quelli che mistificano il cambiamento, rendendolo un’eterna restaurazione.

In Calabria abbiamo bisogno di qualcosa di inarrivabile, abbiamo la necessità di un processo di coesione e depurazione della società civile; di svestire per un attimo i panni di uomini e donne di centrodestra, centrosinistra, pentastellati o altro e vestire quelli di persone perbene, che unendosi con un vero processo dal basso, che non ammetta “guru” o imposizioni, disegni una nuova figura, una leadership condivisa, capace di guidare la Regione Calabria, che magari accetti anche il supporto dei partiti, ma con una propria autonomia mentale e sociale. Una rivoluzione. In attesa che si arrivi “al miracolo”, ognuno di noi chieda e professi il cambiamento negli atteggiamenti quotidiani, nelle cose semplici (quasi banali) perché da lì parte il vero rinnovamento di cui la Calabria ha bisogno, non dai tromboni che da qui al giorno delle elezioni regionali spunteranno qua e la come funghi (velenosi), riempiendo l’aria di promesse, fino a soffocare e sommergere ogni cosa, finanche la verità.


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