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Le elezioni in Calabria e quel bisogno che c’è di buona politica
02 Ott 2014 03:56

Pochi giorni orsono ho avuto il piacere di incontrami con alcuni confratelli sacerdoti con i quali spesso condividiamo esperienze pastorali tra fragilità, impegno e diverse difficoltà che ci accomunano.

In quest’ultimo incontro, abbiamo parlato di impegno politico dei credenti, tema reso di estrema attualità, viste anche le imminenti elezioni regionali calabresi e lo scenario davvero poco confortante sia nel centro-destra che nel centro-sinistra che c’è stato finora offerto.

Abbiamo assistito per mesi ad un andirivieni di primarie “sì” e primarie “no”, davvero ridicolo; date scelte per le elezioni, poi puntualmente smentite; nomi e cognomi di probabili candidati alla presidenza regionale tesi a soddisfare le diverse fazioni interne nelle quali oggi sono divisi i cosiddetti partiti, per questo difficilmente rintracciabili. Anche se oramai sembra si vada verso le primarie (del centro sinistra ma aperte a tutti), certo non ci si va in un clima sereno e di sana competitività.

Un intervento davvero interessante che padre Bartolomeo Sorge ha tenuto nel primo incontro del progetto Agorà a Lecco nel febbraio scorso, ha dettato il ritmo della nostra discussione tesa a rintracciare quelle linee pastorali necessarie per poter aiutare a tradurre in impegno concreto per la Polis la fede troppo spesso disinteressata all’argomento di molti credenti.

Secondo padre Sorge – e come dargli torto – il dramma della politica attuale è quello di non vivere più di ideali e di “essere marcia e corrotta”.

Ciò conduce molti impegnati in politica non solo a rifiutare quelle regole provenienti dalle mediazioni partitiche, ma di cercare un rapporto diretto con la piazza “alla ricerca di conferme personali”, che non solo ha prodotto il populismo italiano di quest’ultimo ventennio, ma che si abbina a ciò che spesso chiamiamo “antipolitica”, come una sorta di rifiuto della mente dei benpensanti delle politica stessa in quanto, appunto, marcia e corrotta.

In Italia, aggiunge p. Sorge, «siamo giunti ad un bivio pericoloso: oggi o si fa spazio per una nuova politica di gente impegnata e consapevole, o seguirà il “baratro”». Al di là di questo aspetto, pure importante, il problema che ci tocca ancora più da vicino è che molti cattolici, di fronte al “populismo dei pochi ed all’antipolita dei molti sono afoni ed insignificanti”.

Una volta decapitata da parte di tangentopoli la Democrazia cristiana è iniziato a scendere il grande silenzio. Ci siamo dimenticati presto ciò che ha prodotto in Italia ed in Europa l’impegno di diversi cattolici saliti in politica. Non si tratta, ribadisce ancora una volta p. Sorge «di far rivivere la DC come il partito dei Cattolici; non sono più i tempi di quei valori cristiani condivisi da tutto un popolo o quasi; la Chiesa “non deve avere un suo partito”; il partito dei Cattolici come “longa manus” della gerarchia è superato storicamente, culturalmente, teologicamente.

Si tratta di un nuovo modo di far politica: quello che combatte il populismo e l’antipolitica, quello che, con Papa Francesco, riscopre – senza forse saperlo – l’insegnamento autentico di don Sturzo, che è un insegnamento rivoluzionario: il “popolarismo”.

Detto popolarismo non è mai stato, nelle intenzione dell’autore, un “partito della Chiesa”: la politica dev’essere laica, non confessionale, fatta per il dialogo tra credenti e non credenti. Tuttavia – ricorda p. Sorge «don Sturzo pone quattro fondamenti importanti che i Cattolici devono sottolineare, perché ciò guidi il loro impegno e l’impegno degli altri con cui essi costruiscono il bene comune: a) c’è un fondamento religioso e morale nella vita politica, che è la giustizia sociale; b) la politica è dovere di ogni uomo, perché connaturato con l’uomo stesso (laicità e umanesimo della politica); c) la società civile viene prima dello Stato, perché rappresenta la realtà, nella sua territorialità di bisogni sociali, che lo Stato deve poi interpretare e risolvere; d) la politica dei cattolici non può essere che riformista (popolarismo), di un “riformismo coraggioso”, che si oppone ai conservatori che sono i “fossili della società” (dal Discorso di Caltagirone, 1905)».

Ciò che agli inizi del secolo scorso insegnava don Sturzo dovrebbe essere inteso dai credenti soprattutto, come una sorta di “Vangelo” tradotto nella quotidianità. La connaturale vocazione di ogni uomo che è la politica si traduce in impegno per la giustizia sociale che ci fa essere “per” lo Stato mai “con” lo Stato.

Ove la congiunzione “con” va intesa unicamente come ricerca di connivenze e convenienze, personali o di gruppo, poste in essere attraverso quelle strategie di appartenenze delle quali molti sono davvero maestri. Ovviamente, è inutile ribadire che oltre alla presa di coscienza personale del credente circa l’importanza che l’impegno politico riveste per ognuno, occorre una reale strategia sinergica per poter agire insieme al da là delle scelte politiche di fondo che, dai “quattro fondamenti” ricordati sopra, sono contenute perché fondate e compiute. E non viceversa!

Altrimenti tutto è reso vano nonostante l’impegno-testimonianza di quei pochi, dal comodo omologarsi del molti.


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