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Le dimore del mistero
17 Set 2015 09:00

Ogni paese del Sud ha il suo bel palazzotto nobiliare.

A dir il vero ne ha vari. Ma c’è sempre quello più grande, più maestoso, più altero.

In uno dei paesi che trapuntano la dorsale appenninica, con un ricamo che ne ne fa una scia dinoccolata ma continua, v’era un palazzo misterioso.

Il mistero se l’era guadagnato in due periodi. Quando apparve e quando venne abbandonato.

Le vecchiette del posto, raccontavano che intorno al 1860, in un campo appartenente ad una famiglia gentilizia, arrivò un mulo con due bisacce cariche di monete d’oro. Era, secondo loro, una animale che era sfuggito ai briganti. E la famiglia si era appropriata della fortuna.

Con quei soldi venne costruito il palazzo, che contava di un scala interna larga due metri, in marmo, che si avvolgeva su se stessa e portava al primo piano. Sotto vi erano immense stalle, granai, sotterranei, labirinti di stanze.

Fermiamoci qui. Ed arriviamo a trent’anni fa, quando un professore d’italiano, grande appassionato di storia recente e indefesso topo di biblioteca, insegnando da supplente in quel paese, scoprì quel palazzo.

Seppe che era abbandonato dagli inizi del Novecento e che era rimasto intatto.

Riuscì a rintracciare il custode e dietro lautissima mancia, entrò per visitarlo.

Fu incredibile. Di quel palazzo nessuno sapeva più nulla del suo interno. La memoria s’era persa ed era stato anche in passato: inaccessibile.

Al custode non importava niente del suo mistero, lui custodiva le chiavi e lo guardava dal suo balcone in cambio di un piccolo stipendio mensile.

Il professore entrò dal portone principale, perché gli ingressi erano tre. E salì quella scala che lo immise in un corridoio largo che portava a numerose stanze.

La cucina aveva il pavimento scosceso e titubante. Era una camera ampia e v’erano disseminati molti strumenti desueti. Il bagno era in legno, con uno strano water che si manovrava con corde, il lavabo era ricercato, lo specchio opaco, la vasca troneggiava in un angolo.

Il salone era pieno di drappi, quadri, arazzi e con un’armatura d’un soldato imponente.

Tutto era sovrastato da polvere e ragnatele. Non c’era traccia di vita ma solo di passato.

Al piano più in su vi era la cappella privata. Piccola, in miniatura, ma curatissima, con gli affreschi e le statue in marmo.

Di fianco c’era la sala della musica, con un piano, un violino, un organo. In fondo s’intravedeva il “belvedere”, ovvero circa cinquecento metri quadri con una grande costruzione finale, che a guardarla di sotto sembrava un mausoleo.

Il professore stette nel palazzo per una mattinata a visitarlo, insino alle soffitte e ne uscì sbalordito.

Le osservazioni confliggevano.

Come si poteva lasciare marcire nel tempo un simile patrimonio? E nel contempo: meno male che nessuno aveva toccato per ottant’anni niente, così da far rivere una dimora del passato.

Perché?

La spiegazione risiede nel fatto che molte famiglie nobiliari del Sud, quando nacque la borghesia delle professioni ed il latifondo scomparve (per via delle stentate riforme agrarie), i componenti di tali famiglie cercarono di diventatre classe dirigente, occupando incarichi di prestigio. Anche nella capitale.

E parente dopo parente, emigrarono nelle grandi città alla ricerca del mantenimento del rango.

Quindi, quei palazzi, vennero sostituiti con ruoli importanti e da alloggi nei centri più prestigiosi delle città.

Il tempo fece il resto. Alla terza generazione, ognuno dimenticò il palazzo d’origine, ormai diventato bene invendibile in quanto inutilizzabile.  E divennero i palazzi dove il tempo s’era fermato. I palazzi del mistero.

Ancora ve ne sono tanti, nel Meridione e versano cadenti, all’ultimo respiro. Le famiglie proprietarie, nel migliore dei casi, lo hanno donato al Comune, che ne ha fatto un museo o la casa comunale. Ma molti sono morti. Abbandonati al loro destino.

Ora che i paesi del Sud si stanno spopolando, hanno acquistato anche la dignità democratica. Nel senso che sono circondati da case anche loro abbandonate.

E’ un mondo che scompare. La società contemporanea ha altri luoghi, altri ritmi, altri interessi. Solo la nostra curiosità può salvarli.


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