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#CristianoDeAndrè: “chi sogna non muore quasi mai”
25 Ago 2015 06:51

E’ difficilissimo che accada, anzi normalmente non accade mai. E’ difficile che arrivino emozioni così forti. E’ ancor più difficile che giungano attraverso la cornetta di un telefono, eppure, questa volta, è accaduto. Penso a questo mentre faccio l’intervista a Cristiano De Andrè, cantautore e polistrumentista straordinario, anima ribelle, ma sincera, capace di toccare le corde dell’anima di ognuno di noi con la sua musica. Il suo AcusticaTOUR2015 lo sta portando in giro per l’Italia continuando ad emozionare il pubblico. E’ avvenuto anche nell’anfiteatro di Aglientu, in Sardegna, nella provincia di Olbia-Tempio qualche giorno fa. Due ore di concerto per un continuo sali e scendi di emozioni in uno spettacolo che ha mandato in visibilio la platea, tra il batter di mani e la commozione del pubblico. Cristiano, oltre che aver ridato vita ad alcuni brani del padre con una veste diversa, ha dato prova di eccellenti arrangiamenti musicali passando dal pianoforte al violino, dalla chitarra al bouzouki, senza scomporsi, con un’estrema naturalezza e padronanza. E’ stata una serata di musica, di emozioni, di ricordi, di vita, in compagnia di un artista che, con la sua voce calda, profonda, ma a tratti graffiante, ha coinvolto più generazioni. Ho fatto una bella chiacchierata con Cristiano, prima che con un artista, con una persona, vera, che nel corso del tempo è riuscito a superare le difficoltà e gli ostacoli che la vita ha messo nel suo cammino. Abbiamo parlato di musica, di quello che sta accadendo intorno a noi, di emozioni, di vita e di sogni, perchè forse il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni, perchè “chi sogna non muore quasi mai”.

Chi è Cristiano De Andrè oggi?

E’ sicuramente un uomo molto più sicuro di sé, più sereno e più convinto delle sue capacità. E’ un uomo che è riuscito a sconfiggere molti fantasmi che lo tormentavano, ora è una persona libera e più leggera.

Cantautore e polistrumentista, che valore ha per te la musica?

Ha un valore importantissimo! E’ una via di comunicazione tra quello che è il mio inconscio e e l’esterno, il mondo che mi circonda. Attraverso lei, cerco di esprimermi nella speranza di emozionare coloro che sono in ascolto, cercando di far percepire la mia sensibilità.

Un album che ha lasciato il segno è stato “Sul confine”, rivolto al mondo degli emarginati ma anche a chi sceglie di oltrepassare un limite. Cosa vuol dire varcare un confine? Hai mai sentito la necessità di oltrepassare quel confine?

Credo che ognuno di noi abbia un confine che vuole oltrepassare; molto spesso accade che sia proprio la curiosità che ci spinge ad oltrepassare un determinato limite, per migliorarci, per avere lo sguardo rivolto alla libertà. Varcare un confine vuol dire anche guardare il mondo da una prospettiva diversa dalla propria, per avere una visione più nitida e più chiara. C’è poi chi il confine lo subisce come una sorta di capriccio del destino; a volte capita infatti che nel corso della nostra esistenza ci siano ostacoli che intralciano ciò che ci siamo prefissati e non è sempre semplice riuscire a superarli. Ho provato a raccontare sia il bisogno di volerci stare sia la malasorte di doverci stare.

Qualche anno fa è partito il tour dal titolo “De André canta De André”. E’ stato un modo per ricordare tuo padre ma forse anche un modo per ritrovarti, attraverso la sua musica anche, è così?

Sì, esattamente in questo modo. Cantare mio padre è stato un modo per scoprirlo sempre di più. Nonostante io conoscessi già le sue canzoni, cantandole così spesso, con nuovi arrangiamenti, mi sono accorto di essere riuscito ad abbracciare nuove sfumature tra le righe dei suoi scritti; mi sono avvicinato ancora di più a lui, l’ho capito ancora di più.

Un grande pensatore affermava: “Non importa chi fosse mio padre, importa ciò che mi ricordo che fosse”, cosa ti ha lasciato?

Mi ha lasciato un’eredità molto forte e potente a livello letterario. Credo che soprattutto mi abbia lasciato la coerenza, la coerenza di non farsi scegliere ma di scegliere, la coerenza di riuscire a tenere le redini della propria vita, la coerenza di essere sempre dalla parte dei più deboli e dei più umili. E’ sempre stato in una direzione opposta e contraria, non ha mai dovuto e voluto accettare compromessi; mi ha fatto capire cosa fosse la bellezza per la vita e di questo non posso che essergli grato.

E’ difficile portare il cognome che porti?

Certamente sì; lo è stato in particolare qualche anno fa, ora un po’ meno. Ci sono sempre stati i paragoni con un genio qual era e che continua a essere. Ho cominciato ad accettarlo e credo che anche gli altri ci stiano provando.

Qual è la canzone che ancora oggi suonandola, o più semplicemente ricordandola, la senti più vicino a te?

In realtà, ci sono davvero tante sue canzoni che hanno segnato momenti precisi della mia vita; sicuramente “Verranno a chiederti del nostro amore”. Ricordo di aver visto mia madre commuoversi alle cinque del mattino in casa mentre l’ascoltava per la prima volta, mio padre gliela stava dedicando proprio in quel momento; io ero molto piccolo e guardavo la scena da dietro la porta.

Nel 1993 porti a Sanremo il brano “Dietro la porta”, aggiudicandoti il secondo posto assoluto nella categoria Campioni, il Premio della Critica e il Premio Volare. Cos’è cambiato dopo quel brano?

Credo di avere acquisito più autorevolezza e più consapevolezza che potevo regalare qualcosa di mio. Il mio cognome era pesante e forse da quel Sanremo lo è diventato un po’ meno.

Una canzone che fa riflettere è “Credici”, nella quale si parla di una decadenza del nostro Paese, è molto attuale anche ora, secondo me. In cosa credi oggi più che mai? C’è la possibilità di un riscatto per noi?

Credo di sì, sono una persona ottimista! Così come c’è stato il Medioevo, poi c’è stato il Rinascimento; oggi, secondo me, siamo in un secondo Medioevo e stiamo aspettando con fatica una rinascita. C’è sicuramente la consapevolezza di abbandonare la legge del più furbo, di derubare il prossimo, di tornare a stringerci la mano e ritrovare l’amore per gli altri. Credo che ognuno di noi senta la necessità di tornare ad essere felice e di superare il malaffare. Bisogna sicuramente anche abituarsi a convivere con il dolore, perché è lui che riesce a portare poi la felicità per farci poi apprezzare la vita. I momenti brutti vanno accettati e anche i mostri che sono dentro di noi. Dovremmo forse credere di più in noi stessi e cercare di tirar fuori il bello che c’è in ognuno di noi.

Hai partecipato al Sanremo recentemente vincendo il premio della critica con “Invisibili”, ritieni che ci siano ancora degli invisibili?

Sicuramente sì! Invisibile è tutto quello che non vogliamo vedere, che non vogliamo conoscere per paura. Gli invisibili eravamo noi ragazzi di vent’anni in un contesto storico difficile, racconta le esperienze che ho vissuto in prima persona durante la mia giovinezza. Racconta di Genova e dell’Italia in un periodo in cui i giovani si erano messi in moto per sovvertire la cappa clerico-fascista-democristiana che aleggiava sul Paese. Poi ci ha pensato la droga, l’eroina a piegare una generazione, purtroppo.

I testi delle tue canzoni parlano di emozioni, di sentimenti, di fragilità anche e, in generale, di vita, oltre che di sogni. Cos’è per te il sogno? Mi viene in mente la canzone “Il silenzio e la luce”, in cui inviti a non smettere di sognare, ma è ancora possibile questo?

Sì, perché chi sogna non muore quasi mai, perchè ha sempre un filo conduttore con l’anima e sognare è un modo per lasciarla libera. Credo che il vero cancro del nostro secolo sia quello di non ascoltare più la nostra anima e quindi di non riuscire più a sognare. Sono in molti a continuare a sognare ma ancora sono troppo pochi.

Hai ancora qualche sogno nel cassetto?

Certamente! Vorrei continuare a scrivere musica e testi per cercare di trasmettere emozioni a chi mi vuole bene. Vorrei davvero che le persone amassero più sé stesse e il mondo che le circonda perchè soltanto così possiamo raggiungere una maggiore serenità.

In molti tuoi concerti si fa spesso riferimento alla Sardegna. Quale legame hai con questa terra?

Ho un legame molto forte con questa terra perchè la conosco da quando ho cinque anni; sono molto legato sia alla Sardegna sia alla Liguria, dove sono nato. Amo i suoi profumi, il suo orizzonte sconfinato, la sua maestosità e la magia della sua bellezza. E’ un legame profondo difficile da spiegare.

Quest’intervista verrà pubblicata in Resto al Sud, un quotidiano molto attento alle tematiche che riguardano il Sud, e con Sud non intendo soltanto il Meridione del nostro Paese, ma anche il sud del mondo, di una città, di un quartiere. Invita a non lasciarli soli; secondo te è possibile resistere, cioè non abbandonare queste terre?

Assolutamente sì; molto spesso accade che chi le abbandona poi vi fa ritorno. E’ necessario resistere con la consapevolezza e la voglia di ribellarsi a determinati poteri che finiscono con lo schiacciare le bellezze di questi posti; solo così possiamo riprenderci molte meraviglie.

Dove ti vedremo prossimamente?

A Budoni in Sardegna il 28, a Fregene il 30. Le date di settembre si trovano sul mio sito, aggiornato di settimana in settimana. Da ottobre, sarò nei teatri; sto scrivendo il mio nuovo album, a febbraio uscirà il mio libro e un nuovo “De Andrè canta De Andrè”.

 


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