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Il #Sud che funziona e che lo #Svimez non racconta
14 Ago 2015 07:05

La raffigurazione estremizzata di un Sud più povero della Grecia, quale è stata quella prodotta nei giorni dallo Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), non corrisponde ad una lettura ben più approfondita dell’economia del Mezzogiorno, dei suoi territori, delle sue dinamiche socioeconomiche, dei loro apparati manifatturieri. A smentire la catastrofica analisi dello Svimez è stato nei giorni scorsi sulle colonne della Gazzetta del Mezzogiorno Federico Pirro, docente all’Università di Bari, e rappresentante della Regione Puglia nello Svimez, organismo del quale fanno parte anche ex ministri come Paolo Baratta e Piero Barucci.

L’analisi prodotta dallo Svimez, costruita intorno alla retorica di un Nord produttivo e un Sud sempre più lontano dall’Europa, non coglie segnali eloquenti di dinamismo in tante aree meridionali, come dimostrato dagli accurati studi di della Srm del Banco di Napoli del Gruppo Intesa San Paolo, che da anni sta monitorando i settori industriali del Mezzogiorno più rilevanti, come automotive, aerospazio, agroalimentare, tessile-abbigliamento, calzaturiero.

L’immagine di un Sud incapace di investire i Fondi Europei, che annaspa sotto i colpi dell’economia sommersa, della burocrazia asfissiante, del clientelismo e della criminalità organizzata (elementi negativi e pericolose distorsioni che esistono e che nessuno può far finta di non vedere), hanno trovato ulteriore linfa nelle affermazioni di Roberto Saviano che ha scritto una lettera al premier Renzi, e nella puntale replica con l’ipotesi di istituire un Ministero per il Sud.

Quello che lo Svimez e che Saviano non dicono, però, è che in quella analisi (Svimez) e nelle valutazioni a senso unico dello scrittore campano mancano i recenti investimenti realizzati da Fiat-Fca a Melfi, a Pomigliano d’Arco e in Abruzzo in Val di Sangro ad Atessa, dell’Eni a Gela, di Alenia Aerormacchi in Puglia e Campania, i 44 contratti di programma sottoscritti dalla Regione Puglia con grandi imprese dal 2009 al 2015, i 36 contratti sottoscritti da Invitalia in Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia, mancano poi gli investimenti di Eni e Total in Basilicata, e delle aziende farmaceutiche in Abruzzo.

Il mondo globale è diventato più piccolo e, in questo spazio sempre più compresso e  veloce, c’è un nuovo modello di impresa che anche nelle regioni del Mezzogiorno si sta affermando grazie ad una nuova generazione di imprenditori, che stanno sviluppando e facendo crescere altre forme produttive caratterizzate da percorsi eterogenei legate al mondo delle startup e della innovazione, dei co-working, dei processi di riorganizzazione delle città, della economia della condivisione.

In questi settori, ad esempio, la Puglia da oltre un decennio è uno straordinario laboratorio propulsivo, perché è riuscita ad avviare una radicale transizione fondata proprio sulla cultura della creatività, che prima di tutto è stata un investimento sulla rigenerazione urbana, con la individuazione di una nuova governance per regolare lo sviluppo urbanistico, con una legislazione destinata a diventare un punto di riferimento nazionale, grazie anche alla capacità di riqualificare quartieri degradati, spazi pubblici dismessi e dati poi in gestione per le attività di coworking come sta accadendo nei vecchi padiglioni della Fiera di Bari, dove stanno lavorando circa 80 giovani.

Al Sud, inoltre, si sta radicando sempre di più il modello della creatività diffusa, con l’emergere di una nuova impresa culturale multifunzionale, un’impresa che non esaurisce la propria attività nel produrre solo fatturato, ma si fa società e contribuisce alla costruzione di un brand riconoscibile, come sta accadendo nel caso della Basilicata e di Matera, Città europea della cultura nel 2019.

A queste nuove tendenze, evidenziate anche dalla creazione delle agenzie e dei programmi verticali dedicati allo sviluppo delle filiere culturali (le Film Commission ad esempio) e dei distretti orizzontali della creatività, ci sono settori nei quali il Sud continua a primeggiare anche grazie alla qualità delle produzioni e all’export, quali l’agroalimentare (Abruzzo, Calabria, Campania, Sicilia), che dovrebbe però diventare sistema insieme con la riqualificazione dell’offerta turistica, la grande risorsa che il Sud non riesce a sfruttare appieno.

C’è poi tutto il comparto dell’Automotive (Abruzzo, Basilicata, Puglia) e dell’aeromobile (Campania e Puglia), che continuano a fare registrare performance importanti, e che stanno trainando la ripresa del Paese, nel quale proprio il Sud ha un ruolo decisivo.

Anche i dati sulla disoccupazione giovanile e sui laureati che non trovano lavoro andrebbero analizzati in relazione all’offerta delle Università, spesso ancorata a profili professionali di cui il mercato non sa più che farne (si pensi alle migliaia di laureati in Giurisprudenza che ogni anno escono dalle Università del meridione), e alla ridefinizione di un Piano generale dell’offerta formativa che tenga conto dei cambiamenti organizzativi e tecnologici in atto sia in Italia che nel mondo.


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