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Il #Sud che può e deve farcela
03 Ago 2015 07:00

Abbiamo letto con stupore l’allarmante relazione dello Svimez sul Meridione. Eravamo abituati a leggere di tutto sulle nostre terre, ma l’ultimo quadro ci consegna ad una prospettiva simile a molti paesi dell’Est europeo.

Le soluzioni per sottrarci non sono nelle nostre possibilità di cittadini. Purtroppo bisogna nuovamente fare affidamento sulla politica economica dei governi. D’altronde, è lo Stato che deve individuare ed intervenire nelle criticità di una nazione.

Ma ciò che ci si chiede, è se nascerà una nuova Questione Meridionale.

Sicuramente si. Uno Stato non può “perdere” quasi la metà del proprio territorio, senza avere contraccolpi esiziali sulla propria economia nazionale. Quindi si dovrà correre ai ripari.

Acclarato questo presupposto, bisogna ragionare su come reagirà la popolazione del Sud agli incentivi di sviluppo. Innanzitutto sarà necessario compiere un grosso balzo sul senso di responsabilità. Non si potranno accettare i benefici con la stessa disinvoltura del passato. Ogni risorsa sarà il vagone di un ultimo treno che passa. Quindi necessita alla base un grande lavoro culturale, che stimoli la consapevolezza di uno “Stato che va aiutato” a creare sviluppo, e non più considerato come mucca da mungere.

Ma a chi tocca fare questo lavoro culturale? E dove?

A questo serve una nuova Questione Meridionale. La “vecchia” ha operato in termini di reperimento e ripartizione di risorse, ma non c’era l’humus acché tale sforzo del governo centrale fosse preso nella giusta direzione. Mancò quella cultura democratica che facesse comprendere il concetto di bene comune e la visione di un futuro da costruire insieme. Una cultura del territorio che comprendesse il Meridione come un “unicum da evolvere“.

Se nel 2015 siamo in questa situazione lo si deve al costume del tirare a campare, a quell’attenzione del “particulare” che allontana dai macrosviluppi strutturali.

Se avessimo attinto dalla Cassa del Mezzogiorno per costruire il Mezzogiorno, non saremmo nel quadro a tinte fosche dello Svimez. Ma, appunto, non vi era una cultura di stato matura, si era ancora figli delle riminiscenze dei governi delle dinastie monarchiche straniere. I cittadini ed i politici hanno operato in un intreccio dove è difficile distinguere le colpe degli uni da quelle degli altri.

Sono i politici che hanno seminato il clientelismo o i cittadini che in cambio del voto chiedevano qualcosa?

Era il politico che truccava le carte o i cittadini che dilatavano le richieste?

Può sembrare una provocazione, ma a me piace far riflettere, credo che la funzione degli intellettuali sia questa. Quella di seminare dubbi sul passato senza fare del qualunquismo. E quando dico: i cittadini del Sud, non mi riferisco a tutti, tantomeno ai politici. C’è tanta gente onesta.

La nuova Questione Meridionale deve individuare i mezzi d’intervento per infondere una cultura democratica che presupponga il concetto di “bene comune” come valore fondante. Non basta la solidarietà sociale presa in prestito dalla religione, dai sindacati e dai partiti di sinistra, ma serve il bene comune come programma scientifico-sociale, cioè inteso come  momento razionale in cui la comunità crei un bacino ove convogliare le risorse utili al macrosviluppo.

Un momento storico dove non si lavori per se stessi ma per gli altri, ove in questi “altri” siamo contenuti noi stessi.

Solo con tale idee di cooperazione il Sud può farcela. Solo facendo squadra tra noi cittadini, territorio per territorio, si può costruire un Sud che non stacchi la spina dall’Occidente.


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