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Meno burocrazia, più competizione e meno tasse. Così salveremo il #Sud
08 Ago 2015 07:51

Nei numeri del disastro c’è la cifra della possibile ripartenza, se solo evitassimo di prenderci in giro e ci decidessimo ad affrontare e non rinviare i problemi. Non ci sono destini ineluttabili, né condizioni esterne che ci condannano al declino (semmai l’opposto). Ma è allarmante la pervicacia nel non volere capire, come dimostra il modo in cui vengono interpretati i dati sulla produttività, pubblicati dalla Banca centrale europea, e quelli sulla condizione economica del Mezzogiorno, elaborati da Svimez. Sono il racconto dello stesso problema, non vanno separati. Proviamo a leggerli senza limitarsi alla geremiade.
1. L’Italia perde produttività almeno dal 1995. Ovvio che dalla partenza dell’euro, cinque anni dopo, sia scivolata indietro: perché aveva cominciato prima. Il dramma è che una classe dirigente incapace ha sperato che l’euro risolvesse i problemi, mentre una classe egualmente incapace spera di potergli dare ogni colpa. Invece i problemi sono nostri. L’Italia che va meglio, del resto, è quella che esporta, ovvero quella più esposta al valore e al cambio della moneta unica. Non dovrebbe essere necessario aggiungere altro.
2. Quello italiano è un universo che contiene il più vasto ambito europeo, visto che abbiamo aree che crescono meglio della Germania e altre che precipitano peggio della Grecia. Dal 2009 le nostre esportazioni sono cresciute più delle tedesche. Nel 2014 quelle dal centro-nord sono cresciute del 3%, mentre quelle dal sud hanno perso il 4.8%. La crisi ha morso ovunque, ma il Centro-Nord, dal 2008 al 2014, ha perso il 7.4% del pil reale, mentre il Sud è scivolato del 13. Il laboratorio italiano segnala all’Unione europea che il trasferimento di ricchezza e l’aggravio fiscale sono due modi stupendi per diventare poveri. Essendo escluso che la soluzione possa essere separarsi (quello è un modo per suicidarsi), passiamo a vedere cosa i dati suggeriscono.
3. Perché il Sud è sottosviluppato? Da meridionale che detesta il meridionalismo “querulo e piagnone”, rispondo: a. perché la competitività drogata dalle svalutazioni (modello perdente che usammo troppo a lungo), arricchisce chi esporta, sia le merci che i soldi, e impoverisce chi risparmia e consuma; b. perché per compensare questa perdita il Sud è stato alluvionato di trasferimenti pubblici, il che lo ha avvelenato sia sotto il profilo morale che produttivo, premiando i traffichini a scapito dei produttori, le rendite a scapito degli investimenti. Il risultato è talmente orribile che si dovrebbe fuggire via da quelle politiche, invece c’è chi ne chiede il rilancio. Inappagato.
4. Il Sud non crescerà mai anche perché al Sud non si lavora. La partecipazione al lavoro è ferma al 27.6% della popolazione attiva, mentre al Centro-Nord è al 48.1 e in Italia al 40.2. Che è già troppo bassa, perché la media dell’Ue è al 55%. Non parliamo poi delle donne, la cui partecipazione al lavoro, nel Sud, si ferma al 21.6%, mentre al Centro-Nord (sempre troppo bassa) si colloca al 43.
5. I diplomati con il massimo dei voti sono, in Puglia, quattro volte quelli del Veneto e del Piemonte. Sapete cosa significa? Che l’amministrazione pubblica prende per i fondelli il Sud, magari trovando gente felice di farsi far fessa, considerando quei voti come un fatto positivo. Invece sono una lapide: non vi diamo niente, vi mandiamo in scuole indecenti, saprete meno dei vostri coetanei che studiano altrove, ma vi regaliamo pergamene bollate, imperituro memento del declassamento culturale.
6. Tutto questo ci dice che il Sud non è altro che un’Italia con difetti elevati al cubo. E che l’Italia è un’Ue elevata al quadrato. Quello che serve è più libertà, meno burocrazia, più competizione, meno fisco. L’idea di tassare di più per poi trasferire di più è la ricetta della miseria: economica, morale e culturale. Il Sud non va invaso con finanziamenti che alimentano l’improduttività, ma liberato dal giogo dell’assistenzialismo e della criminalità.
7. Tornando ai dati Bce, dai quali siano partiti: per forza che l’Italia cresce meno (negli ultimi anni decresce di più) degli altri, perché quando la crisi è arrivata c’è chi ha potuto creare debito per contrastarla, mentre noi ne avevamo già uno enorme, accumulato per finanziare il capolavoro di cui sopra. Se non fossimo stati protetti dalla moneta comune, in quella condizione, avremmo pagato tassi d’interesse da strozzinaggio e saremmo ricaduti nel circuito delle svalutazioni, che non aumentano la produttività e derubano i risparmiatori. Formula adatta a far diventare l’Italia intera come il Sud messo peggio. Mentre capendo e reagendo possiamo portare il Sud a superare non solo Dublino, ma anche Francoforte. Se solo non amassimo i mali che ci affliggono.


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