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Esiste una cosa chiamata “mai più”
07 Apr 2016 08:45

Sera avanzata, nella stradina stretta e lunga di via Stesicoro, una specie di corridoio all’aperto dove contro ogni logica giocavamo a pallone. Quasi a tempo perso comincia una partita di calcio in notturna, giocata malgrado la mancanza di illuminazione, per il puro desiderio di inseguire un pallone.

La partita comincia sotto gli occhi già apprensivi dei genitori che stanno a guardare il poco che si distingue nel buio quasi assoluto, che rende pure impossibili le giocate di fino.

Dopo un po’ la situazione degenera. Un paio di contestazioni reciproche, e per desiderio di rivalsa le squadre si allungano, le difese si lanciano all’attacco, ogni azione finisce in gol e ogni esultanza sconfina nella successiva rete degli avversari, fin quando la partita degenera in un tutti contro tutti che tralascia qualsiasi velleità di calcio apollineo, già scarsa, per diventare puro slancio dionisiaco. Un’orgia di corsa e calci senza senso, spingendo solo la palla e la notte un po’ più in là.

Passano i minuti, e un paio di genitori chiamano secondo repertorio: è ora di andare a letto. Qualcuno risponde con altrettanto repertorio: ora vengo. Ma il tempo passa e il gioco, dopo aver perso le regole, perde pure ogni senso, trasformandosi in una pura e semplice rissa felice.

Ora tutti i genitori chiamano e nessuno di noi risponde più. Troppo bello questo tirare calci nel buio, dove l’impunità diventa sfrenamento.

Fin quando mamma viene e mi tira quasi per i capelli, estirpandomi dal sabba con la forza, immaginando forse di salvarmi l’anima dall’inferno. È un trauma. La vivo come un’ingiustizia perché sono il primo, gli altri rimangono a correre senza controllo, e chissà per quanto. Immagino che quell’esaltazione non possa mai finire. Gli amici giocheranno fino a notte fonda, forse per sempre, e senza di me. Mi sto perdendo qualcosa che non potrò mai recuperare.

Il rientro a casa è un lutto che non merito. Il riso sguaiato di poco prima si trasforma in pianto disperato. Mi mettono a letto di forza, e io sento, so, che questa è una piccola morte, perché mai più, mai più la vita mi riserverà un momento così esaltante di purissimo scatenamento.

Oggi posso dirlo con certezza: esiste una cosa chiamata mai più; ma lo immaginavo anche quella notte, quando per ripicca decisi di non dormire affatto, sebbene costretto forzatamente a mettere la testa sul cuscino.

Mi addormentai, invece. Prima o poi ci si addormenta sempre.


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