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Giacomo Mancini, un uomo del Sud da ricordare
20 Apr 2016 08:35

Dedico il mio dialogo con la Rete nel dì di festa al centenario della nascita di Giacomo Mancini. La mattina del 21 aprile, ad Itaca, la famiglia celebra e ricorda lo statista meridionale. come ben qui informa il figlio Pietro Mancini.

Ringrazio per aver ricevuto l’onore di poter partecipe all’illustre consesso, il mio contributo sarà circoscritto al rapporto tra Mancini e la sua Cosenza.  Mi permetto, ora in forma scritta, di tratteggiare il medaglione di un meridionalista che lascia robusti e significativi segni nella storia del Novecento.

Contribuisco a concentrare fatti e analisi che si trovano nei libri di Orazio Barresi, Antonio Landolfi (il biografo ufficiale e fedele luogotenente) e nell’intervista a Matteo Cosenza, capoversi di una corposa bibliografia che si confronta con il caso Mancini.

Io vi aggiungo molta vita vissuta. Importanti momenti passati al fianco di questo “avvocato del Sud” che ho avuto la buona sorte di avere come direttore politico nella combattiva televisione privata bruzia Telecosenza, da molti ribattezzata “Telekabul”.

Nell’addizione trovate anche memorie di famiglia e amicizia sorte dal 1916 e anche prima. A Cosenza i Leporace e i Mancini si sono sempre frequentati. Sembravano dei parenti ma non lo erano. Comunanze di ben vivere e di idee molto forti. Tullio era stato allievo di Don Pietro. E Giacomo compagno di Mauro con cui aveva condiviso l’adolescenza e l’eta quasi adulta. Nel ’43 nella Roma dei nazisti, Mauro aveva proposto di andare tra gli azionisti di Parri e Giacomo si era ben adeguato. Incontrati alcuni compagni del padre si deviò tra i clandestini del Psi. Un giovane Vassalli era nella stessa cellula. Per un caso della vita il socialismo trovò un leader.

A 29 anni, l’avvocato Mancini, con  studi  fatti a Torino, la città che ne ha forgiato  alcune mentalità sabaudo-gramsciane, sceglie di dedicarsi alla politica. Sceglie la politica come il padre Pietro. “Pitruzzu da pinna russa” c così i muratori del rione Massa avevano ribattezzato quel libero pensatore  del padre che aveva fondato il socialismo tra Basilicata e Calabria.Tradizione illustre.  Complesso stabilire tra due grandezze (padre e figlio) chi prevalga. Hanno entrambi segnato la storia patria .

Il giovane Giacomo fa carriera nel partito portando idee e molto impegno. La politica dell’Autonomia socialista lo mette in stretto contatto con il segretario nazionale, Pietro Nenni. A quel tempo i partiti selezionavano per merito e qualità la classe dirigente. Mancini diventa un perno significativo del centrosinistra italiano.

Mancini è il ministro della Sanità che sconfigge la mafia bianca in camice imponendo il vaccino Sebin e salvando numerosi giovani dalla poliomelite. Da ministro dei Lavori pubblici si dedica al Sud e alla sua Calabria. Un Italia in forte debito nelle scelte strategiche delle opere pubbliche provvede, suo tramite, a far realizzare in pochi anni la Salerno- Reggio Calabria, Si spezza l’isolamento di città e paesi che impiegavano una giornata per arrivare a Napoli. Poi ci sono la Legge ponte e la battaglia contro il sacco della Valle dei Templi a far di Mancini un gigante del progressismo socialista,

Segretario nazionale del Psi ne ha valorizzato cambiamenti e modernità legate ai tempi che cambiavano. Propone un intenso dialogo con i radicali e i movimenti nati dall’urto del Sessantotto. Ebbe scontri duri con Craxi ma non mancarono le intese. Forse le due ipertrofiche personalità non permisero le coincidenze.

Impiccato in effige durante la rivolta di Reggio Calabria.

Mancini conosceva e sapeva dei tanti in buona fede che avevano aderito al tumulto ma osservava che era stata possibile quella guerra civile anche grazie alla presenza dei Di Stefano e di molte ‘ndrine.

Subì la macchina del fango ordita da poteri forti cui sempre diede nomi e cognomi pubblicamente. I denari lobbisti al Candido fascista orchestrarono una campagna diffamatoria senza precedenti.

Il giustizialismo su commissione della seconda repubblica lo ha processato e condannato come contiguo ai mafiosi. Da una parte, i padri della patria da Cossiga e Macaluso a difendere la reputazione e la Storia. Dall’altra i peggiori manigoldi raccolti nelle carceri a raccontare fandonie, sentito dire e rivelazioni da persone  morte. Giustizia sarà fatta in Appello, ma quanta sofferenza per chi scelse di difendersi nel processo.

Fu a favore  dei diritti e del Diritto contro la magistratura e la politica che perseguita  le idee  di eretiche aggregazioni dell’estrema sinistra. Alzò la voce in Parlamento contro la legge Reale e quando i carabinieri fucilarono alle spalle dei sequestratori di San Luca. Non chinò il capo davanti alle greche dei militari e agli ermellini del potere giudiziario. Difese la libertà

Fu eletto per dieci legislature, sempre e solo con voti calabresi. Un rapporto osmotico con la sua terra. . “Mancini ha fatto” è la sentenza di tanta gente.

Fu sindaco della città in età adulta dopo aver fatto il ministro. Mancini ha saputo governare e far politica. Errori non mancarono come la scelta dell’industrialismo, ma erano legati alla cultura dell’epoca.

Fu innovatore nell’uso dei media, della comunicazione politica aprendo le prime stagioni della politica spettacolo. Sue le prime campagne elettorali con il cinema e cantanti di successo a chiudere i comizi. Ha sempre avuto buona ascolto e benemerenze dalla stampa che conta. Salvò Scalfari dalla condanna per diffamazione e Biagi lo chiamava in televisione. Mancini ha fatto molta opinione.

Fu un avvocato del Sud. Ministro del mezzogiorno. Meridionalista convinto fautore del lavoro culturale. Fonda il Premio Sila, riesce a far aprire un giornale regionale in Calabria realizzato da bravi giornalisti, apre la Feltrinelli a Cosenza, finanzia la casa editrice Lerici. Contribuì a far nascere insieme ad altri l’Unical.

Giacomo Mancini non è solo un fu. Egli è nel ricordo che ha impresso nella Memoria. Ha lasciato qualche debito ai familiari e nessuna ricchezza in contanti. Mi sembra giusto ricordarlo a quelli che scrissero sui muri: “Mancini ladro”.

Al maltempo della Sinistra, e del meridionalismo quel pensiero va tenuto vivo. Senza la retorica del tempo perduto. Ma ispirandosi al suo agire.  Giacomo Mancini è stato un socialista che ha cambiato lo stato di molte cose. Non mancarono i difetti e le tare. Ma il saldo è a suo favore. I cent’anni di Mancini  sono pieni di fervore e azione. Una fortuna averlo avuto. Raccontarne la Memoria  tornerà utile a quelli che verranno.


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