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Pensiamo a quei bambini e alle incapacità di comprendere
28 Giu 2016 08:35

Col fiato sospeso. Viviamo col fiato sospeso, in attesa che la verità venga fuori, da ormai tre anni. Da quando una terribile notizia ci raggiunse e ci sconvolse. Antonio, un bambino di quattro anni, era morto dopo essere precipitato dal settimo piano della casa della nonna. Il quartiere si strinse attorno alla mamma e alle sorelline distrutte dal dolore.

Il caso fu presto archiviato come incidente domestico. Troppo presto. La vita ricominciò a scorrere pigra e lenta. L’estate e i suoi richiami provvidero a distrarre i giovani e i bambini. Tutto passa. Gli esseri umani sono propensi a dimenticare gli avvenimenti che li addolorano. Forse è un bene, forse no. Non lo so. Certo, ogni giorno è un giorno nuovo.

“Una cosa so, domani la Provvidenza sorgerà prima del sole” ha scritto qualcuno. E provvidenziale è, nonostante tutto, anche la voglia di vivere che ci ammalia. Un anno dopo la morte di Antonio, però, dallo stesso palazzo, cade e muore, Fortuna, l’amica delle sue sorelline. Questa volta nessuno crede all’incidente. Da subito la gente capisce che c’è qualcosa che non va.

Anche perché Marianna Fabozzi, la mamma di Antonio, è stata l’ ultima persona a vedere in vita la piccola Fortuna. Possibile che nessuno abbia visto precipitare la bambina? L’ autopsia provvederà a gettare altra legna sul fuoco, rivelando che la bambina era stata ripetutamente violentata. Il clima si fa pesante. Tutti sospettano di tutti. Ognuno si difende come può. Durante il funerale di Chicca – nomignolo affettuoso con cui veniva chiamata Fortuna – dall’Altare gridai: «Chi sa parli. Lo faccia, è suo dovere se non vuole rendersi complice del male». Ma sentìì anche il bisogno di aggiungere: «Ma chi non sa, taccia. Per non gettare inutili croci sulle spalle degli innocenti e depistare le indagini».

Pochi mesi fa, Raimondo Caputo, il compagno di Marianna Fabozzi, viene tratto in arresto. È accusato di aver violentato e ucciso Chicca. Raimondo si difende. E per farlo inizia ad accusare la sua compagna. Sarebbe stata lei ad aver ucciso la bambina. Il quartiere viene preso d’ assalto dai mass media. Il bisogno di arrivare alla verità non fa guardare troppo per il sottile. La deontologia professionale di qualche giornalista o conduttore lascerà molto a desiderare. La sete di verità non può fare altre vittime. Gli innocenti vanno sempre difesi e tutelati. Non è stato così.

Certo, questa è proprio una storia tanto triste e disumana. Il male si presenta in tutta la sua bruttezza. Il raccapriccio che avvertiamo nel guardarlo negli occhi ci spaventa. Se solo si fosse indagato meglio sulla morte di Antonio! Chissà. Si soffre. Domenica scorsa, grazie a Dio, c’è aria di festa in parrocchia. Il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo, che ha seguito con apprensione il succedersi delle vicende, ci raggiunge per le cresime. Le campane suonano a distesa. La chiesa è affollatissima. I ragazzi eleganti ed emozionati. Il bene che sconfigge il male. La prepotenza della vita che sempre vince sulla morte. Intanto si avvicina il giorno del secondo anniversario della tragedia di Chicca. Decidiamo, col sindaco del paese e altre associazioni, di piantare due alberi per ricordare i nostri due bambini.

L’anniversario cade nella solennità di San Giovanni Battista, il martire della verità. L’uomo che sarà decapitato per non aver taciuto di fronte all’ingiustizia. Che ci invita a preparare le vie del Signore. Che non si rassegna mai. Che crede, al di là di ogni ragionevole logica, che alla fine il deserto fiorirà. E si impegna perché accada. Ci stiamo preparando per la commemorazione, quando dalla procura di Napoli nord, veniamo a sapere che Marianna Fabozzi è accusata di omicidio volontario: sarebbe stata lei a gettare giù il piccolo Antonio. Dunque, non fu un incidente. Non una terribile disgrazia.

Le cose si complicano. Il cerchio si stringe sempre di più attorno a questa famiglia. Il pensiero non può non andare alle sorelline di Antonio, ospitate il una casa famiglia. Oggi, alle ore dodici, pianteremo gli alberi. Gli alberi della speranza e della vita. Con la morte nel cuore e la preghiera sulle labbra. Con il rimorso e la rabbia per non aver capito che cosa mai stesse accadendo fra quelle mura e la volontà e il desiderio di essere più attenti per il futuro.

Una cosa è certa: i bambini debbono essere messi al centro della nostra riflessione, delle nostre azioni e dei programmi politici e sociali. Sui bambini si deve investire di più e meglio. Coi bambini nessuno più deve permettersi di giocare. In qualsiasi modo. Non sono balocchi. Non sono cavie. Non sono nati per soddisfare gli egoismi e le anomalie degli adulti. A mezzogiorno, ovunque siamo, fermiamoci per sussurrare una preghiera per Antonio e Chicca.

(Articolo apparso su ” Avvenire” venerdì 24 Giugno 2016)


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