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Italiani che vendono armi ai terroristi? Non c’è da stupirsi. Ecco perché
02 Feb 2017 08:30

Italiani che vendono armi da guerra all’Iran e a gruppi terroristici libici federati a Daesh.

L’inchiesta dei magistrati di Napoli fa luce su uno dei business più importanti, in termini di introiti, della economia italiana.

Stupisce lo stupore di tanti che sembrano non capire che tra i settori trainanti della italica economia, oltre a moda, turismo, gastronomia c’è la produzione e la vendita di armi da guerra.

Siamo il sesto paese produttore al mondo.

Abbiamo aziende tra i primi posti dell’industria meccanica e dell’industria elettronica mondiale che tra pompe idrauliche, elicotteri civili, generatori e tasformatori costruiscono anche mine antiuomo, fucili d’assalto, pistole di precisione, bombe a grappoli, missili anticarro, elicotteri con armamenti di precisione come missili o sistemi di puntamento laser.

E parliamo di industria che noi conosciamo per le auto, le lavatrici o i frigoriferi che ci vendono che però non sempre sono il loro core business.

Questi signori italiani, la coppia di napoletani e l’uomo che vende elicotteri di Roma, oggi indagati per la presunta fornitura di armi a iraniani e addirittura a gruppi armati vicini al Califfo del terrore islamico Al Bagdadi, altri non sono che i Pietro Chiocca che ci fece conoscere un immenso Alberto Sordi nel film “finché c’è guerra c’è speranza”.

Chissà quanti Pietro Chiocca abbiamo in giro per l’Italia e fingiamo di non vederli solo perché sono degli sfigati di merda che fanno il lavoro sporco della vendita degli strumenti di morte per conto dei capitani di industria.

Quegli industrialoni o industrialotti che in Italia sono anche nella proprietà dei maggiori mezzi di informazione che fingono di non sapere che gli italiani saranno pure brava gente ma fanno miliardi di euro e creano migliaia di posti di lavoro costruendo mine o missili che vengono usati in zone teatro di guerra.

L’industria bellica italiana è l’unico settore dell’economia non in crisi. Come la nostra ipocrisia.


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