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Il sorriso nel credere nei propri sogni. Intervista a Matteo Setti, Gringoire de “Notre Dame De Paris”
04 Apr 2017 08:08

Notre Dame, una delle costruzioni gotiche più famose al mondo, è tra i protagonisti del romanzo senza tempo di Victor Hugo, “Notre Dame De Paris”; l’autore ambienta infatti la sua storia nell’oramai arcinota cattedrale nel cuore della capitale francese. La gigantesca signora di pietra, con le sue luci e le sue ombre, fa da sfondo al più grande musical mai prodotto in Italia, ovvero “Notre Dame De Paris” di Riccardo Cocciante che quest’anno compie ben 15 anni. Tra i personaggi del famoso musical troviamo Gringoire, narratore della storia.

È un artista di strada, conosciuto per i suoi spettacoli tra la gente; indulgente e ironico, le sue abilità artistiche sono alla portata di tutti, ricchi e non, e la sua vita scorre tra la folla. Gringoire è un poeta romantico e sognatore tanto da riuscire a instaurare un dialogo con la Luna, testimone diretta dell’amore non corrisposto tra Quasimodo,  il campanaro deforme della cattedrale, e la bella Esmeralda.  A vestire i panni di Gringoire, troviamo il cantante-attore Matteo Setti,  il cui ruolo sembra quasi gli sia stato cucito addosso e la cui voce, calda e potente, riesce a catturare chiunque. Riesco a raggiungere telefonicamente Matteo durante una breve pausa dalla tournèe teatrale che lo vede impegnato già da diversi mesi in giro per l’Italia in un tiepido pomeriggio di inizio primavera. Matteo di strada ne ha fatta da quando ha lasciato la sua città di origine, cioè Reggio Emilia. Dopo aver svolto molteplici mestieri,  dal barman all’assicuratore, dal pescivendolo al rappresentante di svariati  prodotti, arriva a New York, scelto tra i protagonisti di “Rent”, il musical prodotto da Luciano Pavarotti. Da lì, un susseguirsi di successi, dopo diversi anni di gavetta nei pub e oltre l’importante ruolo nell’opera popolare di Cocciante, l’abbiamo visto in “Casanova”, “Dorian Gray” e “Amleto”, soltanto per citarne alcuni. Ha calcato i palcoscenici più importanti, oltre che quelli italiani, anche quelli di Parigi, Hollywood e Las Vegas. Quello che colpisce di Matteo è il suo sorriso, accattivante ma genuino. E’ un Artista umano, qualità percepita dal pubblico, caratteristica non di poco conto nel difficile ingranaggio del mondo dello spettacolo. Con lui, ho parlato di musica e canto, delle fatiche, delle difficoltà  ma soprattutto della forza di credere nei sogni!

Chi è Matteo Setti oggi?

Posso dirti che avverte un cambiamento, soprattutto come uomo, che va poi a riflettersi anche sul lato artistico; riprendere infatti in mano, dopo anni, uno spettacolo come “Notre Dame De Paris” è bellissimo, esattamente come trovarsi totalmente immerso dall’affetto delle persone, un affetto cresciuto moltissimo grazie anche ai social. Vorrebbe infatti  ringraziare ogni singola persona che ogni giorno lo appoggia nelle sue scelte con commenti e like, senza mai essere in contrasto! Per quanto le parole e i gesti siano fondamentalmente gli stessi, Gringoire continua a far parte della sua vita. Matteo veste il suo personaggio con lo stesso entusiasmo, con la voglia di portare sul palcoscenico il poeta di sempre ma con qualche anno in più, cioè cresciuto. 

Tu e Freddie Mercury. Cosa vi lega?

Un legame forte ma anche molto inaspettato! Ero in casa con mia sorella e nello scorrere delle notizie televisive, mi sono soffermato sui suoi funerali. Non avevo idea di chi fosse Freddie Mercury! Allora avevo 21 anni e la musica non faceva propriamente ancora parte della mia vita. A 14 anni ero già un operaio metalmeccanico e, fino ai 28 anni, la mia passione era per i cavalli; in quel periodo non compravo neanche dischi. Nonostante suonassi la chitarra e cantassi spesso con mio padre, non ero ancora così preso dalla musica. Essendo di una piccola città qual era Reggio Emilia, ero appassionato di grandi cantautori, come De Andrè, Guccini e Dalla. Mercury era  lontanissimo dal mio mondo, tuttavia da quel giorno qualcosa è cambiato. Nonostante tutti i mestieri che ho fatto, dal pizzaiolo all’assicuratore, dal giardiniere al pescivendolo, alla sera dopo la mia consueta giornata lavorativa andavo in macchina, cantando fino a notte inoltrata sulle colline di Reggio Emilia.  Da quei momenti, ho capito finalmente cosa volevo fare nella mia vita, cioè il cantante, nonostante mio padre, da perfetto musicista, continuasse a ripetermi che non ce l’avrei mai fatta.

La musica può rendere gli uomini liberi, può andare oltre i confini. Cosa sono per te la musica e il canto?

Sono due emozioni talmente forti e incontrollabili quanto il battito di un cuore che vive. Sono totalizzanti e capaci di invadere chiunque; ecco perchè ci danno la spinta per superare gli ostacoli che la vita molto spesso ci mette davanti e per perseguire i nostri sogni. Sono pienamente convinto che se riuscirò sempre ad emozionarmi, potrò continuare a fare quello che sto facendo perchè mi riempie, sempre. Oramai la musica e il canto non sono le mie passioni, bensì ora come ora sono parte della mia vita; se non sono sul palcoscenico, canto ugualmente tutti i giorni.

C’è stato un incontro molto importante che probabilmente ha anche dato inzio alla tua carriera, quello con Luciano Pavarotti. Ci racconti?

Mi trovavo a Bologna a fare un tributo a Freddy Mercury; alla fine del concerto, mi viene chiesto di partecipare a un provino per il quale cercavano l’ultimo di quindici ragazzi che avrebbero formato il musical “Rent” importato in Italia da Pavarotti. Quel venerdì sera mi è davvero sembrato tutto molto surreale, non potevo e volevo crederci. Dopo qualche giorno, mi vengono passate le canzoni che avrei dovuto sapere a memoria per il provino; ricordo che la notte precedente l’audizione ero molto agitato in un continuo stato di dormiveglia. L’indomani sono stato accompagnato nello studio di registrazione e sono riuscito a superare il turno; così il sabato mattina, da operaio che facevo in quel periodo, mi sono trovato a New York. Da lì, è iniziato tutto!

Sei emiliano-romagnolo, ma molto spesso ti trovi in giro per il mondo con la tua voce. Cosa rappresenta l’Emilia-Romagna per te?

E’ la terra in cui a pochi chilometri da dove sono nato e ho trascorso diversi anni della mia vita è nato Zucchero, a 15 km Ligabue, poi Dalla e Morandi, una vera e propria prateria di grandi artisti! Sono molto legato ai sentimenti di quando ero bambino; quando vi faccio ritorno e ripercorro le vie di campagna dove ho abitato, ho tanti flash che attraversano la mia mente. Ricordo chilometri e chilometri di alberi in fiore e quei fossi in cui da piccolo andavo a pescare i pesci a mani nude. Quello che mi rattrista molto è che ci sono stati moltissimi cantanti dell’Emilia che hanno avuto successo in giro per il mondo ai quali però non è stata data loro la possibilità di far conoscere la propria arte nel proprio territorio, una grave mancanza secondo me! E’ sconfortante vedere come oggi il centro storico di Reggio Emilia sia quasi totalmente deserto, senza neanche un reggiano in centro, i negozi quasi tutti chiusi e senza fermento culturale.. E’ un vero peccato perché i suoi abitanti sono davvero squisiti, al contrario di chi la gestisce che non si accorge delle potenzialità che avrebbe. 

Dal 2002 sei nel cast del più grande musical mai prodotto in Italia, “Notre Dame De Paris”. Come sei entrato a farne parte?

Ho spedito alcune mie foto e un paio di canzoni! Dai duemilacinquecento che eravamo, mi sono ritrovato a combattere a suon di note con altri ottocento rimasti fino a rimanere, per mia fortuna, in quattordici.

Vesti i panni di Gringoire. Come ti sei preparato per questo ruolo? Come lo vivi?

Lo vivo con molta dedizione! In questi anni, ho imparato a curare moltissimo la voce prima di cantare; nei giorni in cui sono off, non posso non cantare o, se non altro, non fare esercizi vocali. Al mattino faccio dagli 8 ai 10 km a piedi e al pomeriggio, prima di salire sul palcoscenico, ho la necessità di fare circa per un’oretta e mezza esercizi con la voce, stretching e poi sono pronto per “Il Tempo delle Cattedrali”.

Gringoire è un poeta, è il narratore che guida lo spettatore nel racconto. Cosa vuol dire essere il narratore in “Notre Dame De Paris”? Quanto è importante essere i narratori della propria vita?

E’ bellissimo essere il narratore a “Notre Dame De Paris” perché mi permette di entrare e uscire dalla scena sentendomene a volte parte integrante e a volte no. Posso riproporre con un atteggiamento e un gesto vocale una carica di emozioni che spero arrivi al pubblico in ascolto, questo per me è linfa. Credo sia molto importante essere gli artefici della propria vita e anche essere capaci di poterla raccontare. Sono un osservatore e molto spesso cerco di rubare la sfumatura dell’espressione di un volto, di un sorriso e anche una piccola gestualità che mi ha colpito per poi farla mia.

Per la beatificazione di Giovanni Paolo II, sei stato scelto come interprete per il brano “Non abbiate paura”. Cos’hai provato a cantare quella canzone?

Quando ho cantato quella canzone, ad essere sincero, sono stato colpito più dal fatto di essere stato scelto che per l’importanza del canzone in sé. Nello studio di registrazione a Roma, ero infatti molto concentrato a cercare le linee vocali che reputavo fossero le più giuste per quel canto e devo ammettere che non è stato facile per me. Quando poi a metà, ci sarebbe dovuto essere il ritornello e ho invece trovato la voce di Papa Wojtyla, posso dirti che ho provato un’emozione fortissima!

Oggi come oggi, di cosa non dobbiamo avere paura?

Se siamo sinceri con noi stessi, se pensiamo fortemente una cosa, se reputiamo davvero che sia giusto perseguirla, indipendentemente dalla fatica o dall’impegno che può comportare, credo sia giusto andare avanti. Non dobbiamo mai avere rimpianti per quello che avremmo potuto fare, anche se a volte abbiamo un po’ di paura; è normale averla, l’importante è che non ci impedisca di avere coraggio. Penso che sia fondamentale avere dei valori nella propria esistenza e credo sia importante tenerli sempre come punti di riferimento dentro di noi; se sei in pace con te stesso, lo sarai anche con gli altri. 

Il 2012 dà il via a un sogno a stelle e strisce; parti per gli Stati Uniti d’America. Cosa ti lascia questo genere di musica?

Dopo aver cantato moltissimi generi, posso dirti che lo swing per me ha un’estrema eleganza. Racconta spaccati di vita in un’epoca stupenda; i cantanti si applicavano al canto in una maniera molto diversa dalla nostra. Erano coloro che sapevano stare sul palco parlando con la gente, coloro che erano in grado di essere veri portatori di emozioni e coloro che, consapevoli di essere delle star, facevano comprendere la vera umanità dell’artista. Oggi purtroppo la maggior parte dei giovani che intraprendono questo mestiere sono quasi sempre costruiti su bugie e non sono consapevoli della reale bellezza e altrettanto complessità del lavoro che sono in procinto di svolgere. Molti giovani escono dai talent convinti che quelli siano il loro vero trampolino di lancio ma dopo qualche piccola apparizione in qualche show finiscono nel dimenticatoio. Sono fermamente convinto che un artista per essere definito tale debba essere sé stesso; una persona famosa quando alla sera chiude la porta è esattamente una persona come le altre, con gli stessi problemi, le stesse paure e gli stessi sogni di coloro che svolgono altri mestieri. Il mondo dell’arte non è fatato come sembra, anzi!

Sei stato anche interprete di un personaggio uscito dalla penna di un genio, qual è Oscar Wilde, ovvero Dorian Gray. Un ruolo non così semplice, anzi forse tra i più complessi. Chi è per te Dorian Gray?

Credo che il buono, il cattivo, l’egocentrico e il sognatore siano presenti in parte in ognuno di noi, c’è chi li riconosce e ne prende atto, c’è chi invece li nega e fa finta di non conoscerli. E’ stato bellissimo portare Dorian Gray sul palcoscenico, ma ho un rammarico, ovvero quello di non averlo studiato in maniera approfondita come avrei voluto. Ho letto il libro due volte e ho preparato il mio personaggio in sei mesi circa; al pomeriggio non facevo altro che studiare, nonostante la sera fossi in tournèe con “Notre Dame De Paris” e devo ammattere che è stato massacrante prepararmi per entrambi. Ho calcato per scelta solo tre volte il palco con “Dorian Gray” ma mi è servito questo personaggio perché, grazie a lui, ho scavato nell’animo umano toccando alcune delle sfumature più cupe di un uomo. 

La vita imita l’arte molto più di quanto l’arte non imiti la vita”, così afferma il personaggio di Lord Henry Wotton ne “Il ritratto di Dorian Gray”. Tu sei d’accordo?

Assolutamente sì! Siamo noi che vorremmo essere quel qualcosa in più tanto da essere speciali, questa è arte e non la vita che lo richiede. Sei tu che vuoi vivere la tua vita al meglio, non sarà mai l’arte a inseguirti; quando tu un giorno lascerai questa terra, non ci sarai più ma la tua arte continuerà a vivere.

C’è chi canta e chi interpreta. Tu secondo me sei un cantante – interprete, perché le emozioni arrivano al pubblico mentre canti. Hai creduto nella forza del tuo sogno e ora? Sogni ancora?

Certo! Non bisogna mai smettere di sognare perché il sogno alimenta costantemente la nostra esistenza.  Si dice molto spesso che il meglio debba ancora venire.. Chissà! Questa frase me la ripeteva sempre mio padre quando ero piccolo. Lui sì che era un grande musicista! Mi dispiace moltissimo che non abbia visto nemmeno l’inizio di “Notre Dame De Paris”, perché purtroppo, essendo un accanito fumatore, se n’è andato a 58 anni. Quando canto “Luna” penso a lui ed ecco che posso permettermi di piangere e di nascondermi, senza farmi notare da chi mi ascolta.

Sei in tournèe in questi mesi nuovamente con “Notre Dame De Paris”. Qual è la forza di questo musical che affonda le radici nell’opera di Victor Hugo? La sua modernità?

Il valore che attribuisco di più a questo musical sono i testi di Pasquale Panella, carichi di semplicità ma anche di verità, sono senza tempo. Quest’anno “Notre Dame De Paris” ha compiuto quindici anni ma posso dirti che in tutti noi del cast le musiche di Riccardo Cocciante facevano già parte della nostra vita. I testi e le musiche sono stati decisivi per riuscire ad arrivare a chiunque, dai più piccoli alle persone di un’ottantina di anni; non solo cantiamo, ma cerchiamo anche di interpretare le parole che vengono messe in musica. Grazie ai testi di Panella, abbiamo cercato di dare i nostri colori alle parole, le nostre ali per raggiungere ogni singolo spettatore!

Quando canti tu emozioni. Cosa vuol dire emozionare? Cos’è per te l’emozione?

Vestire i panni di un personaggio non vuol dire prestargli solo voce e corpo, bensì significa anche dargli un’anima. Molto spesso ci capita di vedere artisti scortesi, menefreghisti e totalmente ingrati per la grande fortuna che la natura gli ha regalato; ecco che secondo me ogni tanto ognuno di noi dovrebbe inchinarsi di fronte a quanto ci è stato dato, soprattutto nei confronti del pubblico che è lì seduto per godere, per farsi una risata ma anche per versare qualche lacrima di felicità per ciò che sta vedendo.

Quest’intervista verrà pubblicata in Resto al Sud. Qual è il tuo rapporto con la parola Sud? 

Posso dirti che ho un ottimo rapporto con il Sud, soprattutto con le persone e la loro infinita accoglienza che hanno nel farti sentire a casa. I luoghi sono magici, la loro storia è inesauribile, esattamente come le persone che incontri. Ultimamente frequento molto la Sicilia e ogni volta che arrivo la respiro profondamente, esattamente come Napoli e molte altre località in cui mi reco sia per il mio lavoro ma anche per prendermi un po’ di vacanza.

I tuoi prossimi progetti?   

Sto prendendo in considerazione uno spettacolo che dovrebbe partire a ottobre; inoltre sto pensando seriamente di trasferirmi in America. Vedremo che accadrà!


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