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Alessandro Averone e il “Riccardo II” di Shakespeare. Il teatro delle emozioni reali
03 Lug 2017 07:30

Abbiamo lasciato Alessandro Averone alla regia di “Aspettando Godot”, capolavoro del teatro dell’assurdo, testo chiave del Novecento. Ora lo ritroviamo ma nelle vesti di attore nello scenario del Teatro Romano di Verona alle prese con una delle opere più celebri di William Shakespeare, ovvero il “Riccardo II”, il dramma storico basato sulla vita dell’assai noto re d’Inghilterra. La vicenda storica da cui il drammaturgo inglese trae il suo dramma è quella della ribellione dei Pari d’Inghilterra, che terminò con l’abdicazione del monarca e con la sua morte in prigione, assassinato. La regia è affidata a Peter Stein, un mostro sacro del teatro europeo con un partér di attori eccezionali, tra cui proprio Alessandro che ancora una volta rapisce totalmente lo spettatore permettendogli di entrare in un mondo di emozioni reali.

Il 6-7-8 luglio sarai al teatro Romano di Verona con il “Riccardo II ” di William Shakespeare. Perché hai deciso di far parte di questo progetto?

Beh, la regia è quella di Peter Stein con cui ho lavorato per altri tre spettacoli; è uno dei pochi maestri ancora rimasti con il quale mi sono sempre trovato benissimo.

Ci racconteresti chi interpreti?

Interpreto Bolingbroke, colui che poi diventerà Enrico IV, spodestando Riccardo II. Quello che portiamo in scena è un dramma storico ed è la prima parte di una tetralogia  a cui seguono le parti seguenti, dedicate al successore di Riccardo II, ovvero Enrico IV ed Enrico V. Di fatto, il mio è un personaggio che fa da collante alle vicende successive.

Come ti sei preparato per impersonarlo?

Essendo un testo molto politico, oltre che seguire le indicazioni di Stein, ho preso spunto da persone che cercano di arrivare al potere tramite un consenso popolare e tramite una gestione di alleanze.

Sei in scena con una delle opere più famose di William Shakespeare che racconta la vita del re Riccardo II d’Inghilterra. Cosa rappresenta per te il drammaturgo inglese?

Le sue opere sono sempre molto stratificate, non si fermano mai alla superficie. Oltre a essere grandi classici, sono degli universi ricchissimi e ottimi spunti di riflessione. Posso dirti che per me è sempre bello affrontare testi di Shakespeare, soprattutto i drammi rispetto alle commedie perché, attraverso la loro scrittura, si scoprono visioni sul mondo davvero molto interessanti.

Cosa vuol dire essere diretti da Peter Stein?

Vuol dire avere la consapevolezza di essere nelle mani di un regista che ha la capacità di lettura e di interpretazione del testo molto profonda. Instaura con gli attori un lavoro bellissimo perché ti mette nelle condizioni di dare il meglio di te in scena, sia dal punto di vista creativo sia per quanto riguarda i suggerimenti che può darti.

Non è la prima volta che collabori con lui. E’ tra i più importanti artefici del teatro tedesco ed europeo nella seconda metà del Novecento. Com’è cambiato il tuo approccio al teatro dopo la sua guida?

Ho imparato moltissimo, dal lavoro che si può fare sul testo alle relazioni tra i vari personaggi all’interno della battute. Ho imparato a potermi fidare di quelle caratteristiche che in un primo momento non si penserebbero su un personaggio.

Shakespeare affermava: “Tutto il mondo è un Teatro e tutti gli uomini e le donne non sono altro che attori. Essi hanno le loro uscite e le loro entrate. Una stessa persona, nella sua vita, rappresenta parecchie parti, poiché sette età costituiscono gli atti”. Sei d’accordo? E’ davvero così?

Sì, direi proprio di sì perché ognuno di noi nel corso della vita recita tantissime parti nelle relazioni con le persone. Abbiamo le nostre entrate e le nostre uscite. E’ inevitabile ricoprire ruoli che si solidifichino, che cambino, che maturino e che anche ti sorprendano.

Cosa speri arrivi al pubblico al termine dello spettacolo teatrale?

Mi piacerebbe che si riflettesse sul potere. La sua gestione non è per niente semplice; implica molti compromessi e, allo stesso tempo, il non voler sporcarsi le mani. Questo testo fa comprendere per chi vede la politica come un qualcosa di lontano e molto facilmente criticabile dal di fuori che di fatto non è proprio così.


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