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“Essere uomo, oggi è questa la difficoltà più grande”. Intervista ad Alessio Boni
21 Nov 2017 07:00

Occhi azzurri e fascino da vendere.  Alessio Boni non è solo questo. Sia che si tratti del piccolo o grande schermo o anche di un palcoscenico di teatro arriva sempre un’emozione fortissima. E’ infatti capace di raccontare le sfumature dell’animo umano. E’ conosciuto per le sue interpretazioni in numerose produzioni teatrali e cinematografiche. Popolare  con la serie televisiva “Incantesimo”, partecipa come protagonista a molti film: da “La meglio gioventù” a “La bestia nel cuore”, da “Quando sei nato non puoi più nasconderti” ad  “Arrivederci amore, ciao”, da “Sangue pazzo” a “Complici del silenzio”. Da non dimenticare la sua partecipazione a numerose fiction televisive, come “La donna del treno”, “Cime tempestose”, “Guerra e pace”, “Puccini” eWalter Chiari – fino all’ultima risata” che contribuiscono a renderlo uno degli attori più apprezzati dalla critica e dal pubblico del panorama culturale italiano. In queste settimane lo vediamo su Rai1 ne “La strada di casa” e al cinema con “La ragazza nella nebbia”.

Ti stiamo vedendo su Rai1 ne “La strada di casa”. Un ruolo non semplicissimo ma che hai reso benissimo.

Mi piace ricordare anche il cast di cui ho fatto parte, colleghi bravissimi, quali Lucrezia Lante della Rovere e Sergio Rubini. E’ un giallo, che ha come protagonista il mio personaggio, ovvero l’allevatore Fausto Morra. Una notte ha un incidente con il suo Pik-Up e al risveglio non ha più la memoria, non riesce a riconoscere nessuno. Dopo cinque anni di coma, è costretto a cercare se stesso e per fare questo deve ricostruire tutto, ricominciare a parlare, fare terapia posturale per riprendere a camminare ed esercizi per riacquistare la memoria. Non sarà semplice per lui ma non posso svelarvi altro.

Chi è Alessio Boni?

E’ una persona che ha varcato i cinquant’anni. E’ un uomo che è arrivato in cima alla collina e ora scende dall’altra parte, ma la discesa non è più semplice della salita. Ora sente e ascolta molto più di un tempo. Prima, in parte per fragilità e insicurezza, era più concentrato su se stesso; a 30 anni voleva dimostrare chi era, nonostante ancora non avesse piena consapevolezza della vita, vista la sua giovane età. Ora ha finalmente capito che ascoltando il respiro e l’umore di chi gli sta intorno riesce ad arricchirsi di più, afferrando e comprendendo al meglio. Ascoltare non è un fattore di poco conto, anzi. Spinti dalla frenesia di tutti i giorni, tendiamo a proseguire per la nostra strada incuranti di ciò che colora la nostra esistenza.

Nel tuo sito si legge: “Se il tuo mondo non ti permette di sognare, scappa verso uno dove puoi“. ci spiegheresti meglio? E’ importante sognare?

E’ fondamentale! Non possiamo scegliere dove nascere e in quale famiglia, ma per tutto il resto abbiamo la grande possibilità di essere artefici di noi stessi. Io ho avuto la fortuna di avere una famiglia straordinaria ma non per tutti è così. Se non riesci a sentirti, non devi assolutamente lasciarti fagocitare dal tetto che ti sovrasta. In quel caso, vai e cerca quello che ti manca per essere felice. Credo fermamente che la persona più povera al mondo sia colei che non possiede un sogno. Sognare ci rende liberi, oltre ad affievolirci dalla pesantezza della quotidianità, a volte. Ognuno di noi dovrebbe fare di tutto per conquistare il proprio sogno e farsi forza dinnanzi agli ostacoli che molto spesso l’esistenza ci mette davanti.  Per anni ho fatto teatro senza neanche prendere un centesimo ma avevo la passione. La prima volta che feci uno spettacolo teatrale a Udine presi 500 mila lire da consumare in buoni spesa, non mi lamentavo perché di fatto stavo inseguendo un sogno che volevo a tutti i costi realizzare. Mi sto accorgendo invece che molte persone non sono soddisfatte del proprio mestiere e questo è molto triste perché se non ami  quello che fai è molto difficile arrivare a fine giornata.

E’ difficile essere attore oggi come oggi?

E’ difficile essere uomo! La recitazione è una professione che ti può riuscire come no, ma è comunque un mestiere che hai scelto di svolgere con passione. E’ molto complesso restare con i piedi ben saldati a terra ed essere uomo. L’attore tuttavia deve saper contemplare e rivelare la vita, elargendo le complete nudità del sentimento umano.

Il pubblico ti ha amato con il ruolo di Matteo Carati de “La meglio gioventù”. Qual è la meglio gioventù di oggi?

Sono i ragazzi. Dovremmo davvero infondere fiducia in loro. I giurassici dovrebbero smetterla di tenere le fila, bensì dovrebbero far loro capire che sono la ventata d’aria nuova di cui abbiamo bisogno. L’Africa dovrebbe davvero essere il giardino d’infanzia del mondo e l’Italia la casa di cura. Per diventare dirigente di un’azienda o di un quotidiano non si devono aspettare i 65 anni, ma soltanto i 30.  Purtroppo chi è ben saldo alla poltrona non si ritira. I più vogliono arrivare a 80 anni ed essere ancora a capo di tutto. La meritocrazia ai giovani, questa dovrebbe farsi largo nel nostro Paese per evitare una fuga di cervelli all’estero.

Nella tua carriera hai recitato molto in teatro. Cosa vuol dire stare su un palcoscenico piuttosto che davanti a una macchina da presa?

Se in teatro voglio arrivare fino all’ultima fila, necessito di esercizi vocali e una macro mimica; al cinema basta alzare un sopracciglio per emozionare il pubblico e avere un microfono  per riuscire a farmi sentire. Sia per il piccolo e grande schermo sia per il teatro, l’impegno deve essere al massimo. E’ sbagliato pensare che il cinema o il teatro siano l’uno migliore dell’altro perché in entrambi ci deve essere un’enorme concentrazione. L’unica differenza è che quando sei sul palco non puoi permetterti di sbagliare, mentre davanti alla macchina da presa puoi rifare la scena. Io sento il bisogno di fare teatro, per mesi interi studio cercando poi di portare in scena le emozioni che mi hanno investito. La macchina da presa fa la radiografia dei sentimenti.

Hai preso parte a tantissimi progetti televisivi come “Guerra e pace”, “Caravaggio”, “Tutti pazzi per amore”, “Puccini”. L’ultimo è stato “Di padre in figlia”, targato Rai 1 in cui interpreti un padre padrone che nel corso degli anni ha un’evoluzione.

Cambia totalmente! Il mio personaggio è l’uomo di una volta, con una cultura spaventosa, profondamente convinto che la donna debba tacere e pensare unicamente al bene della famiglia. Le persone anziane sono estremamente attaccate a un credo per loro incrollabile ed è molto raro che lascino spazio ai più giovani. Per Michele Franza ci sono voluti anni per comprendere che doveva passare il testimone alla figlia. Quando la moglie lo lascia, con una solitudine che lo attraversa in maniera impietosa, comprende il grande valore della famiglia.

“La ragazza nella nebbia” è ora al cinema. Per quali motivi hai accettato questo progetto cinematografico?

Sin dalla prima lettura, sono stato totalmente rapito dalla sceneggiatura. Quando la prima volta che ho incontrato Donato Carrisi, con la sua descrizione, mi ero già immaginato alcune scene del film. Il cast è davvero eccezionale a cominciare da Tony Servillo e Jean Reno. Il mio era personaggio enigmatico e davvero molto interessante da rendere. “La ragazza nella nebbia” ha, inoltre, un messaggio molto forte: vuole infatti far comprendere come di fatto molto spesso la cronaca nera venga strumentalizzata per il proprio circo mediatico. Cerchiamo di portare sul grande schermo il dolore di una madre per la scomparsa della propria figlia e sottolineare come il male serpeggi intorno a noi, senza neanche rendercene conto. La storia ruota intorno a un paesino irreale e sconosciuto, nel quale si può identificare qualunque piccola comunità cittadina, dalla Valle d’Aosta alla provincia di Parma. Il mostro non è visibile molto spesso ma c’è, non si fa vedere. Ad Avechot, nulla è come appare. Quello che accade ad Anna Lou può capitare a chiunque. Il film è crudo, profondamente realistico, diretto e onesto. E’ stata una scommessa molto interessante, un’opera prima di Carrisi in cui ognuno di noi ha creduto, a cominciare da produzione e distribuzione.

Interpreti Loris, un professore. Qual è il valore dell’istruzione?

E’ enorme! Le scuole dovrebbero riprendere a fare educazione civica per riuscire ad affrontare al meglio tematiche molto delicate come per esempio la violenza sulle donne. Ultimamente, episodi di femminicidio e violenza sessuale ricoprono una brutta pagina della nostra cronaca. Ritengo fondamentale educare al rispetto e all’importanza dell’altro. Colui che ognuno di noi dovrebbe conoscere è Padre Maria Turoldo, teologo e poeta. Costruì una casa per l’ospitalità, che chiamò “Casa di Emmaus”; questa costituì un simbolico richiamo all’accoglienza, senza distinzioni di sesso, ceto sociale e di religione. Era benvenuto chiunque volesse accedervi: disadattati, drogati e prostitute; per questa sua decisione venne scomunicato dalla Chiesa, azione che quest’ultima non avrebbe mai dovuto compiere. E’ stato un personaggio considerato dai più molto scomodo. Due anni circa prima della sua morte, gli venne chiesto da un noto giornalista quale fosse il suo più grande rammarico. Lui rispose di aver insegnato teologia per ben cinquant’anni e quando chiedeva ai suoi studenti cosa desideravano per il proprio futuro nessuno che gli ha mai risposto:  Io voglio diventare un uomo. 


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