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Emma Dante: “sogno una Palermo più civile”. E la attaccano sul web. Ma ha ragione
15 Set 2013 08:00

Emma Dante è una regista di teatro. “Off” quanto basta, lontana dal cosiddetto “mainstream” e soprattutto con alle spalle una gavetta che l’ha resa, negli anni, rispettata nella scena nazionale come pochi altri autori. Ha raccontato la Sicilia profonda e il rapporto della sua Palermo coi cambiamenti della modernità. Pièce come “Carnezzeria”, se replicati a oltre dieci anni dal loro debutto, ancora oggi risulterebbero attualissime.

La regista è reduce da Venezia 70, dove – affiancando l’altro volto della sicilianità rappresentato da Eva Riccobono – con “Via Castellana Bandiera” s’è aggiudicata più di un premio (dalla prestigiosa Coppa Volpi per la migliore attrice, assegnato a Elena Cotta, alla prima edizione del Soundtrack Stars, tributato alla migliore colonna sonora). Dal 12 settembre “Via Castellana Bandiera” è in tre sale palermitane, mentre dal 19 la distribuzione si amplierà.

Attesa per una pellicola già acclamata dalla critica e girata nei vicoli di Palermo? Macché. La Rete, ad esempio, più che sul film, da qualche giorno sta confrontandosi – per usare un eufemismo, visto che i toni sono spesso feroci – sulla dichiarazione che la regista ha rilasciato di recente in conferenza stampa a Palermo: «Adesso aprirò la stagione del teatro Massimo e non so se sarò all’altezza del compito, ma sicuramente Palermo dovrà anche essere all’altezza di avermi». Apriti cielo.

Stamattina la Dante ha affidato al suo profilo facebook una lunga riflessione che sa di sfogo oltre che di chiarimento: «Ci tengo a fare una puntualizzazione – ha scritto –, visto che si sono scatenate una serie di offese a catena su una mia frase (…), riportata in maniera isolata e fuori da un contesto più ampio. Ho letto commenti tipo: ancora ha in testa le bollicine di Venezia, un po’ di umiltà le farebbe bene, chi si crede di essere, eccetera. Vorrei esprimere in maniera semplice ciò che penso riguardo alla mia scelta di risiedere a Palermo e al mio bisogno sacrosanto di voler vivere in una città migliore. Quando accade qualcosa di incivile a Palermo qualcuno la giustifica con l’esclamazione: “Va beh che ti aspetti? Siamo a Palermo!”, quando mi trovo ad avere a che fare con una certa sciatteria e arroganza e ignoranza e giustamente mi incazzo mi sento dire: “Se ‘un ti piace picchì un ti nni vai a Milano?”. Ho fatto un mutuo di trent’anni a Palermo per una casa che sarà mia quando sarò vecchia, ho fatto un investimento in questa città, un investimento importante legato al mio lavoro e alla mia vita privata, e mi aspetto che questa città sia all’altezza di queste mie scelte, non me ne sono andata a vivere altrove, nonostante altre città mi abbiano offerto residenza e lavoro. Credo che se una città è migliore sono migliori pure le persone che la abitano. E io ho scelto Palermo come città “migliore”. Non posso più sentire frasi del tipo “Va beh che ti arrabbi a fare? Siamo a Palermo! Che ti aspetti da Palermo?”. A questa frase rassegnata e consolatoria io rispondo: mi aspetto molto, moltissimo, molto più di quanto mi aspetterei da Milano! Tutti i palermitani, a mio avviso, dovrebbero avere questo atteggiamento nei confronti della città in cui risiedono e forse qualcosa comincerebbe a cambiare».

Il web, intanto, continua a dividersi tra chi considera offensive e sussiegose le sue parole e – più o meno elegantemente – le consiglia di rimanere lontano dalla Sicilia, e chi, rispecchiandovisi, solidarizza: scrive ad esempio Sonia che la Dante «sta pagando il prezzo della verità… quella che tutti sanno» ma che nessuno vuol vedersi «sbattuta in faccia. Per non mandare al di fuori della Sicilia un’immagine di degrado c’è una e una sola maniera, e deve partire dalla gente». Appunto, forse il nodo della questione sta tutto qui. È più criticabile chi agisce senza rispetto per la dignità di un luogo o chi questa mancanza di rispetto stigmatizza? In parte, è la stessa accusa che spesso viene rivolta a quei media che «screditano» l’immagine di una città, di una regione, di un Paese, «parlandone male»: con chi prendersela, con chi denuncia un problema o con chi ne è causa?

Come ha scritto Walter Giannò su Resto al Sud, episodi simili a quelli registrati nell’area pedonale di piazza San Domenico (atti vandalici in risposta alle nuove direttive del Comune) non fanno che frustrare le giuste aspettative di «chi vorrebbe vivere in una città rinnovata, pulita, a misura d’uomo, turistica e soprattutto “legalizzata”». A volte un gesto forte – o una dichiarazione senza mezzi termini – può smuovere qualche coscienza.


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