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Il gruppo Eni pagava maxi-tangenti al ministro algerino
07 Ago 2013 08:41

“Un sistema corruttivo capillare ed esteso” e un ”contesto – la Società Saipem e più in generale il gruppo Eni – che ha favorito l’adozione di comportamenti devianti”.

Sono le considerazioni che il gip di Milano Alfonsa Ferraro ha scritto nel provvedimento che lo scorso 28 luglio ha portato in carcere Pietro Varone, l’ex direttore generale di Saipem Francia, nell’ambito dell’inchiesta con al centro una maxi tangente di quasi 198 milioni di euro versata dal 2007 al 2010 alle autorità algerine per ottenere l’aggiudicazione di sette appalti che hanno reso alla società di ingegneria petrolifera e alle sue controllate un profitto che lo scorso dicembre ammontava a oltre un miliardo di euro. Il giudice, in base alla ricostruzione dei pm Fabio De Pasquale e Giordano Baggio, e agli accertamenti della Guardia di Finanza, ha messo in fila una serie di ”elementi indiziari” per arrivare a concludere che ”la decisione di pagare per riuscire ad aggiudicarsi i contratti con l’Ente di stato algerino per l’energia (Sonatrach, ndr) è stata presa, o quantomeno è stata pienamente condivisa, dai vertici della società, la cui sede legale ed operativa è in San Donato Milanese. Infatti tra gli indagati nell’indagine milanese c’è anche Palo Scaroni, ad di Eni, Tullio Orsi, ex presidente di Saipem Algeria, Franco Pietro Tali, vice presidente e amministratore delegato di Saipem, e Alessandro Bernini, ex direttore finanziario fino a cinque anni fa passato poi con lo stesso ruolo al ‘cane a sei zampe’.

Secondo l’indagine a ”beneficiare” della mega mazzetta sarebbero stati il ministro algerino dell’energia Chekib Khelil, alcuni suoi familiari, e persone del suo entourage come il capo di gabinetto di Sonatrach, Varone (intascò 10 milioni), Orsi e anche Noureddine Farid Bedjaoui, intermediario vicino al ministro algerino e destinatario, assieme al suo fiduciario Samyr Ouraied, di un mandato di cattura internazionale. Inoltre, soprattutto per bloccare parte di questo denaro ‘imboscato’ in particolare tra Singapore, Hong Kong e il Libano, la Procura milanese ha avviato una serie di rogatorie. Ma nelle pieghe dell’ordinanza del giudice vengono a galla molti particolari di questo ”sistema corruttivo, capillare ed esteso”, grazie anche alle ammissioni di Orsi e Varone e di altre persone.

In particolare incontri in un albergo di Parigi tra Bedjaoui – soprannominato ‘il giovane’ – il ministro algerino, Scaroni e Antonio Vella, l’allora responsabile di Eni per il Nordafrica o all’hotel Bulgari di Milano dove tra il 2007 e il 2012 sempre Bedjaoui si era visto con Vella, Varone e altri, e aveva speso oltre 92 mila euro per i suoi soggiorni. E ancora, secondo le dichiarazioni di Orsi, ”ulteriori fondi destinati alla corruzione” creati ”gonfiando i costi delle prestazioni rese da alcuni subcontractors a Saipem in relazione ai lavori in Algeria”. E in questo contesto Varone ”ha partecipato a tutto campo alle vicende corruttive (…) anche per trarne consistenti vantaggi patrimoniali personali” e poi, quando ha avuto sentore dell’inchiesta, avrebbe dato ordine alla ex moglie ”di far sparire” le carte compromettenti. La difesa dell’ex manager ha fatto ricorso al Riesame contro l’ordinanza. L’udienza è stata fissata il 12 agosto.


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