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La nuova banalità del male
30 Ago 2014 08:24

Pensavamo o forse speravamo di aver visto e letto di tutto sull’atrocità dell’uomo e che questa fosse rimasta confinata nei lager nazisti, sovietici o della Cambogia di Pol Pot del secolo scorso, sepolta in un recente passato da rievocare spesso perché ciò che è stato non si ripetesse.

Eppure la brutale decapitazione del giornalista americano James Foley, ordinata da miliziani che uccidono donne e bambini, musulmani, cristiani ed esponenti di altre minoranze religiose, ha scioccato il mondo. Una scena raccapricciante che ha lasciato sgomenti e senza parole. Infondo credo che sia questa una delle insidie più tremende della violenza dell’uomo sull’altro uomo: quella di toglierci la parola.

A differenza degli animali attraverso il linguaggio noi non solo comunichiamo ma creiamo relazioni. Un antico insegnamento egizio ricorda: “Per poter essere forte, diventa un artista della parola; perché la forza dell’ uomo è nella lingua, e la parola è più potente di ogni arma”. Se da un lato è vero che per poter ritrovare il gusto e il senso profondo della bellezza della parole da pronunciare abbiamo bisogno spesso di silenzio dentro e fuori da noi, dall’altro è anche vero che dinanzi a questi eventi non possiamo e non dobbiamo tacere, altrimenti saremmo doppiamente sconfitti.

Hannah Arendt, nel suo volume “La banalità del male”, ribadisce con estrema lucidità che «il male non è mai “radicale”, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso “sfida” come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua “banalità”. Solo il bene è profondo e può essere radicale».

Ecco la pericolosità del male espandersi in superficie dappertutto oggi più di ieri perché molti preferiscono vivere in superficie. Non ci meravigliamo più di tanto, allora, se giovani della porta accanto anche italiani entrano a far parte delle organizzazioni terroristiche jihadiste. Chiediamoci, piuttosto, se forse anche noi non abbiamo contribuito a trasformare la politica, la scuola, la Chiesa, i Media, le istituzioni internazionali, sempre più superficiali fino a renderli insignificanti. Non posso, almeno in questo, non essere d’accordo con il Presidente Obama «coloro che compio questi gesti non sono uomini», e con le accorate parole di Papa Francesco: «quando c’è una aggressione ingiusta, posso dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. E sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare o fare la guerra, ma fermare. Invece riguardo ai mezzi coi quali intervenire, beh questi dovranno essere valutati. Bisogna avere memoria di quante volte, pur di fermare l’aggressore iniquo, le potenze hanno finito per fare una guerra di conquista. Io penso che una nazione da sola non possa decidere come fermare un aggressore e intervenire. Esistono le Nazioni Unite che sono nate dopo la seconda guerra mondiale. Ora mi parlano dei poveri cristiani che soffrono ma in questo caso ci sono diverse minoranze a patire, e tutti sono uguali davanti a Dio. Disarmare l’aggressore è un diritto che l’umanità possiede».

Il Vangelo ci dice chiaramente, a partire dall’evento della crocifissione di Gesù Cristo, che il male lo porta chi non lo fa. La vicenda di James Foley, persona davvero speciale che aveva avuto un’altra esperienza di rapimento in Libia finita bene comunicandoci una bellissima testimonianza sul valore della preghiera, assieme a quella di centinaia di cristiani uccisi dai terroristi islamici, deve far riflettere tutti ma credo principalmente l’America.

In questi giorni è stata pubblicata una interessante lettera di mons. Robert Bowman, vescovo di Melbourne Beach in Florida, già tenente colonnello e combattente nel Vietnam, indirizzata al Presidente Obama. In tale missiva il vescovo rimprovera duramente Obama perché non ha detto la verità al popolo statunitense, quando sostiene che l’America è bersaglio dei terroristi perché difende la democrazia. Al contrario ribadisce con forza il vescovo «siamo bersaglio dei terroristi perché, nella maggior parte del mondo, il nostro governo difende la dittatura, la schiavitù e lo sfruttamento umano. Siamo bersaglio dei terroristi perché siamo odiati. E siamo odiati perché il nostro governo ha fatto cose odiose. In quanti Paesi, agenti del nostro governo hanno deposto dirigenti eletti dal popolo, sostituendoli con militari-dittatori, marionette desiderose di vendere il loro popolo a corporazioni americane multinazionali?». La lettera fa riferimento a eventi precisi in cui il governo Americano ha enormi responsabilità che sarebbe lungo riportare.

A questa mentalità tipicamente post-moderna che tende a ridurre il male a banalità si può reagire in un solo modo: ritrovando il gusto e la profondità del bene e della bellezza. Invece di far piovere bombe che spesso colpiscono persone innocenti costruiamo scuole, ospedali, case di accoglienza per i disagiati. Convinciamoci una buona volta che la democrazia non si può esportare ma è un processo spesso lungo da conquistare con la forza della vera politica. Come ci testimoniano quotidianamente non solo i grandi santi della carità, ma anche quelle persone uomini e donne che ancora oggi sono in giro per il mondo a creare relazioni fraternità, il male si vince solo con il bene.


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