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Le condanne per Sanitopoli in Abruzzo annullano le assoluzioni “fideistiche”
25 Lug 2013 08:15

La presunzione di innocenza fino al passaggio in giudicato di una sentenza di condanna è un valore fondamentale di civiltà giuridica e vale anche in questo caso.

Non sarebbe neppure il caso di dirlo, se non urgesse l’opportunità di sgombrare il campo da ogni equivoco nel commentare quella relativa alla Sanitopoli abruzzese. Ciò nondimeno, la condanna a 9 anni e 6 mesi inflitta a Ottaviano Del Turco, se non ne fanno ancora un colpevole, per la sacrosanta ragione appena richiamata, è pur vero che pone fine, in qualche modo, a fideistiche, pregiudiziali e partigiane assoluzioni che in questi ultimi anni hanno punteggiato, accompagnandoli, inchiesta e processo, con l’intervento di qualificati personaggi di caratura nazionale a sostegno del ex presidente della Regione Abruzzo e, anche espressamente, contro la magistratura pescarese che ha lavorato al caso.

Intanto, si deve rilevare che, evidentemente, nella valutazione delle prove recate in giudizio, di cui, da parte dei detrattori dell’accusa, si contestava la consistenza e persino l’esistenza, il Tribunale di Pescara ha ritenuto, al contrario, di dovervi ravvisare fondatezza e validità, in una condivisione di forte momento con le vedute della pubblica accusa.

La circostanza è di assoluto rilievo perché la magistratura giudicante ha espresso una posizione di sostanziale convergenza con la magistratura inquirente introducendo un elemento importante di “novità” dopo anni di polemica a senso unico contro la tesi accusatoria per Del Turco.

Per questo, la sentenza, viene a riequilibrare, senza nulla pregiudicare dei diritti di Ottaviano Del Turco e di chiunque altro, un “confronto” mediaticamente tanto ben orchestrato quanto sperequato, anche per l’autorevolezza dei personaggi che si sono spesi per sostenere l’estraneità di Del Turco alle accuse e censurare l’operato dei pubblici ministeri.

La decisione del Tribunale costituisce un elemento di riflessione che, finalmente, autorizza, al momento, un’ipotesi di lettura più distesa e distaccata e, nel contempo, più critica, delle vicende che hanno riguardato la sanità abruzzese che ancora oggi, in ogni caso, è condizionata dal peso enorme di debiti, disservizi, liste d’attesa bibliche, carenze di personale e quant’altro plasticamente significate dal commissariamento del settore, proprio nell’anno 2008, da parte del Governo, ancorché, in una visione sinceramente liberale e democratica, quest’ultimo istituto è affatto discutibile sia in termini costituzionali sia in termini di trasparenza ed efficienza organizzativa del sistema.

Non può, infatti rientrare dalla finestra ciò che era stato fatto uscire dalla porta, ossia, la competenza esclusiva dello Stato nella materia sanitaria.

La riforma del Titolo V della Costituzione ha, inopinatamente secondo il nostro giudizio, deciso per la sua natura di materia “concorrente” e coerenza vorrebbe che tale rimanesse, a prescindere dai disavanzi.

L’alternativa, è che sia, più correttamente, riportata sotto l’alveo della competenza statale, essendo la salute di ciascun individuo, una e indivisibile e apparendo prive di senso, per questo aspetto, i discorsi sulle “vocazioni” che avrebbero gli ospedali come se fossero cristiani, sulle “eccellenze” di questa o quella struttura come se la qualità la esprimessero le mura e non gli individui che, al contrario di quelle, sono mobili.

Certamente, la gestione del settore sanitario con la Giunta Del Turco non sembra possa classificarsi tra le note positive di quell’esperienza politico-amministrativa, non fosse altro perché al momento dell’interruzione traumatica della sua guida della Regione, nel luglio 2008, non erano ancora stati rinnovati i contratti con le strutture private convenzionate, scaduti a fine 2007, dei quali lo stesso Del Turco aveva aspramente criticato le statuizioni.

Quegli accordi erano stati introdotti dalla Giunta Pace nel 2005 e lui proclamava di voler far cessare il “Far West”.

Non rinnovare, sorprendentemente, in tempo utile quei contratti, oltre a suonare contraddittorio, rispetto ad uno status quo da lui contrastato con grande verbosità e cessato di diritto il 31 dicembre 2007, significò anche introdurre elementi di confusione e difficoltà giuridico-amministrativa per il regime di “limbo” che seguì alla scadenza contrattuale, a partire dall’inizio del 2008.

Anche dal punto di visto gestionale, dunque, l’operato di Del Turco non è stato brillante, se non era un “Far West” era un “Sahara”. Da oggi, con la sentenza del tribunale di Pescara, ci attendiamo una maggiore prudenza e una più approfondita valutazione della sua stessa eredità politica in regione.

Di certo, ci appare più ingeneroso il biasimo riversato per lunghi anni sulla Procura di Pescara che delle ragioni da far valere, oggi sappiamo, in prima battuta, che pure le aveva.


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