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Le minacce di un piccolo uomo
13 Set 2014 08:50

Hanno destato davvero molto scalpore, oltre che indignazione, le minacce di morte di Salvatore Riina indirizzate a don Ciotti ed a Libera. Al di là del fatto se tali minacce siano concretizzabili o meno, credo siano davvero molto significative e non vanno affatto sottovalutate.

Intanto perché dimostrano che una realtà come Libera impegnata da sempre ad educare le coscienze alla ribellione contro il malaffare, le violenze e le sopraffazioni di ogni sorta, che educa altresì alla legalità ponendosi sempre dalla parte delle vittime o di chi, caduto nelle trame mafiose, vuole voltare pagina ed essere un collaboratore di giustizia,  dà fastidio alle mafie.

Ed è proprio su questa strada intrapresa da oltre vent’anni dalla medesima Associazione, che bisogna proseguire.

A dimostrarlo, sono proprio le parole di questo piccolo uomo (Totò u curtu) non solo di statura, ma di umanità. Già perché chi pensa, parla ed agisce come Riina difficilmente riesce a trasmettere quei tratti di umanità che pur sono celati nella sua corporeità ormai prossima al traguardo finale, in considerazione del fatto che ha raggiunto gli ottantaquattroanni di età. Nella mia vita ho conosciuto diverse persone ancorché basse di statura che mi hanno trasmesso una levatura umana davvero straordinaria.

Ma nel caso di Riina, ciò, evidentemente, non mi è mai accaduto neanche quando spinto dalla curiosità ho visto, mio malgrado, la fiction televisiva a lui dedicata da Mediaset dal titolo “Il capo dei capi”, sulla quale molto ci sarebbe da discutere. Piuttosto, ho sempre pensato quando ho visto la sua figura sui Media alle parole di una canzone di De André “Un Giudice” che potrebbe benissimo essere  intitolata “Un Boss”.

Ricordando tutti gli omicidi e le stragi commessi da questo meschino uomo ed  a quelle  tante “notti insonni vegliate al lume del rancore” trascorse nel carcere pensando al pm Di Matteo, a don Ciotti ed a Libera, spontaneamente vengono alla mia mente le parole ironiche, certo, ma quanto mai pertinenti nel suo caso, sempre di De Andrè a proposito del quel  suo “cuore troppo, troppo vicino al centro del podice”. Già perché solo in un uomo in cui questi due organi corporali si confondono può scaturire tanta crudeltà e spregiudicatezza.

Eppure continuano a chiamarli “uomini d’onore”! Dubito fortemente di una persona che non ha certo conosciuto la “levatura di Dio”, genuflettendosi prima “dell’ultimo addio”, possa ritornare sui suoi passi e pentirsi seriamente dei suoi crimini e delle sue minacce. Un motivo in più per scoprire quanto sia stata davvero necessaria quella scomunica ai mafiosi pronunciata di Papa Francesco nella spianata di Sibari. Parole tese a raggiungere e scuotere le coscienze di tutti, principalmente di coloro che vivono e agiscono in questa gravissima condizione di peccato, ma anche di coloro che patiscono a livello personale o sociale le conseguenze di un male così radicato, per far loro sentire che tutta la Chiesa è presente e ne condivide le sofferenze nell’aiutarli a portare i pesi.

Un altro risvolto presente nel discorso del Papa Francesco, di cui si parla poco purtroppo, è l’aver puntato fortemente il dito sull’identità pseudo religiosa del mafioso. La sua religiosità è idolatria, di cui si ammanta volentieri simulando comportamenti devozionali, spesso anche in modo visibile, inconciliabili con l’appartenenza alla Chiesa fino a sfociare in azioni criminali, sono frutto di una mentalità nefasta e fuorviante che porta al fraintendimento della vera religione, oltre che al reclutamento di sodali, spesso anche minorenni. Evidentemente, tali parole non hanno scosso per niente “Totò u curtu”, che continua imperterrito sulla via tracciata sin da giovane, che si esprime anche oggi con quel “u putissimu puru ammazzari” riferite ovviamente a don Ciotti.

Naturalmente, il presidente di Libera, al quale va tutta la mia personale solidarietà e che avrò il piacere di incontrare in questi giorni a Torino, per nulla intimorito da queste parole ha ribadito che combattere le mafie è un “atto di fedeltà al Vangelo”.

Spero che le parole di don Luigi facciano riflettere tanti sacerdoti e laici a volte, forse, troppo distratti da processioni ed inchini.


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