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L’imprenditore che ha sfidato le cosche. “Per essere onesti si diventa eroi”
14 Giu 2013 13:45

Tutto quello che avrebbe voluto essere era un imprenditore, «lavorare e far crescere le proprie aziende per contribuire a dare un futuro alla propria terra». Ma Antonino De Masi, imprenditore di Rizziconi, cittadina della Piana di Gioia Tauro, si è presto dovuto accorgere della distanza che passa fra il volere e l’essere. E così è diventato un simbolo, suo malgrado, quello di una Calabria che non si piega di fronte a nulla.

LE GRAVI INTIMIDAZIONI SUBITE DALLA ‘NDRANGHETA

La lotta, per la verità, l’ha nel sangue. Gliel’avrà passata il padre Giuseppe, fondatore del gruppo, che 37 anni fa denunciò i vari tentativi di estorsione subiti, arrivando a chiudere l’azienda “per Mafia” e balzando per questo agli onori della cronaca nazionale. Seguirono altri tentativi di estorsione, intimidazioni, attentati dinamitardi, minacce di morte, tutto regolarmente denunciato.

Fino all’ultima intimidazione, la peggiore, 44 colpi di Kalashnikov contro un capannone della Global Repairs, un’azienda del gruppo che da poche settimane aveva avviato una nuova attività, riparazione e manutenzione dei container vuoti movimentati nel porto di Gioia Tauro. 44 colpi e due proiettili inesplosi, a monito per il futuro. «Dietro questa ultima azione non c’è solo una richiesta estorsiva», sottolinea De Masi.

Il porto di Gioia Tauro gioca, infatti, un ruolo centrale nel traffico di droga internazionale, e in questo gioco un’azienda che non si presta a certi movimenti, potrebbe dare fastidio, molto fastidio. «Nelle mie aziende, nei container, non c’è spazio per le organizzazioni criminali» ribadisce.

LA CATENA UMANA PER DIFENDERLO

Da quell’evento una scorta lo segue a stretto giro per proteggerlo, mentre due associazioni Libera e l’Osservatorio sulla ‘ndrangheta davano vita a una catena umana di solidarietà che si è stretta attorno all’imprenditore. Trecento i partecipanti, tutti i più alti rappresentanti delle Forze dell’Ordine locali, con due grandi assenti: «La mia grande delusione è stata la mancanza della gente , che mi ha dimostrato di non volersi esporre, ma la cosa più ignobile è che sono mancati coloro che hanno obblighi nei confronti dei cittadini, la politica, o meglio i politicanti, del territorio.

Ma lo stato è stato presente ai suoi massimi livelli», dice con orgoglio. E lo Stato per De masi ha avuto la voce del procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho: «Chi tocca De Masi e altri come lui tocca uno di noi e allora sarà guerra».

LA GUERRA ALLE BANCHE

Ma il nome di De Masi è legato soprattutto ad un’altra battaglia, quella contro le banche. «La porto avanti da undici anni fa. All’epoca, prima che emergessero tutte le porcherie che erano state fatte, erano considerate un luogo sacrale, un sistema al di sopra di tutto e tutti; in questi anni ho fatto vedere cosa c’è dietro di esse. Le banche e la Banca d’Italia in particolare tutto sono tranne che istituzioni sacre, ma società che puntano a ottenere il massimo profitto, utilizzando senza nessuna limitazione sistemi criminali che vanno al di là di ogni etica morale e di ogni legge».

L’incipit della sua battaglia risale al 1996: «Verificai che mi applicarono dei tassi del 35,40-38,27% in funzione dei vari trimestri; chiesi conto alla banca e mi disse che ero un pazzo. Su delle linee di credito per circa 12-13 milioni di euro pagai 6 milioni di oneri finanziari». Nel 2003 la denuncia per usura bancaria, che portò sul banco degli imputati i pezzi da novanta del sistema creditizio nazionale, l’ex presidente della Banca di Roma, Cesare Geronzi, il presidente della Banca Nazionale del Lavoro, Luigi Abete, l’ex presidente di Banca Antonveneta, Dino Marchiorello.

L’USURA BANCARIA ACCERTATA ANCHE DALLA CORTE DI CASSAZIONE

Tasso usuraio accertato, anche dalla Corte di Cassazione, e dovuto a un illegittimo scorporo dal TEGM, il Tasso Effettivo Globale Medio indicato ogni trimestre dalla Banca d’Italia, della CMS, la Commissione di Massimo Scoperto, che trovava la sua fonte in una circolare della Banca d’Italia che, di fatto, consentiva un «aggiramento della norma penale».

Proscioglimento, invece, per i Presidenti, non perché il fatto non sussistesse, ma perché a non sussistere all’epoca dei fatti erano delle leggi che ritenessero illecita tale pratica, non si poteva ritenere violato dai vertici apicali delle banche il dovere di diligenza nella ricostruzione dei criteri applicabili ai fini della individuazione del tasso soglia. In altri termini, erano in buona fede. Ma se dal punto di vista penale un responsabile non si poteva trovare la Suprema Corte ne individuava uno dal punto civile, da cui ottenere il risarcimento di quanto illegittimamente decurtato: la banca.

Dopo di allora altre denunce, altri processi, altre sentenze vittoriose, tredici in tutto. Un caso talmente unico, il suo, da finire in prima serata su Report, su Striscia La Notizia, sulla BBC che gli ha dedicato un lungo servizio.

UNA BATTAGLIA SOLITARIA

Una battaglia condotta in solitaria, quella di De Masi, costellata di lettere inviate a tutti i rappresentanti politici: «Continuo a scrivere a tutti perché ritengo che, come dice il mio amico Monsignor Don Pino Demasi, un paese è civile, è democratico, se basato e fondato sul “tutti”, rappresentato dal “noi collettivo”», si legge nell’ultima; laddove quel “noi” è rappresentato da «quei tanti e silenti cittadini per bene che “sognano” e sperano in una utopica normalità, nella quale il criminale, il degenerato affarista ed il corrotto, siano marginalizzati e non abbiano ruoli nella costruzione del nostro futuro», quelle persone che si sono tolta la vita, ridotti oramai sul lastrico da un sistema perverso, perché non hanno creduto che tali crimini non potessero essere contrastati da un potere giudiziario «succube del potere di tali criminali (banchieri), e che la legge alla fine tutela i potenti a discapito delle vittime».

L’ULTIMA DENUNCIA

E’ anche per loro che continua la sua lotta, chiedendo a Camera e Senato una Commissione d’inchiesta sull’operato delle banche e dei sistemi di vigilanza in materia di credito alle imprese e presentando alla Procura di Reggio Calabria e di Palmi un nuovo esposto denuncia. «I calcoli fatti secondo la Legge fanno cadere la “foglia di fico” che ha protetto i vertici delle banche», vale a dire, “l’errore scusabile”: il reato di usura non solo si riscontrerebbe anche scorporando la CMS dal TEGM, ma sarebbe stato commesso anche dopo l’emanazione della Legge 2 del 2009 che vietava lo scorporo della CMS; gli interessi usurai non sono stati restituiti nonostante numerose richieste, ed anzi nei confronti del gruppo De Masi sarebbe stato messo in atto un comportamento tale da «eliminarlo dal mercato, rifiutando anche banali operazione e, persino, con un comportamento di cartello, di aprire un conto su basi attive». «Mi trattano come fossi un criminale», lamenta De Masi « quando poi loro si siedono al tavolo coi criminali, coi mafiosi, i loro simili, con loro ci parlano e con me non vogliono».

IL CARTELLO DELLE BANCHE

Loro sono “il Gruppo degli amici della Banca”, «un’associazione non ufficializzata e non formalmente costituita composta alti dirigenti di 13 banche che si riunivano segretamente (in sedi diverse)», « un sistema comprovato di “cartello delle banche” che ha portato, in una logica del massimo profitto e con metodi illegali, all’arricchimento degli istituti bancari ai danni dei cittadini» il tutto tramite quello che è il primario strumento del reato e prova dell’elemento soggettivo del dolo, il contratto bancario.

L’OMESSO CONTROLLO DELLA BANCA D’ITALIA

Il tutto «nella diffusa e generalizzata omertà istituzionale» e nella colpevole inedia dell’organo preposto a controllare le banche, Banca d’Italia «che in palese conflitto di interesse ha di fatto impedito un’attività di verifica e controllo oggettiva e seria».

E a prova delle accuse allega documenti su documenti: comunicazioni dei sindacati bancari che invitano i colleghi delle filiali locali a «limitare i rimborsi, contenere le riduzioni ed evitare le chiusure dei conti», una lettera dell‘Autorità garante della Concorrenza e del Mercato del 2012 inviata alla Banca d’Italia per avvertirla della presenza di« livelli di tassi d’interesse significativamente elevati e che, in talune circostanze, superano il 20%» soprattutto in alcune arre del paese come la Calabria, e poi, sentenze e provvedimenti di Tribunali civili e penali, missive, ordinanze, circolari.

LA RICHIESTA DI SEQUESTRO CAUTELATIVO DI 150 MILIONI

Ipotizzandosi i reati di associazione per delinquere finalizzata alla truffa, all’estorsione, all’usura, all’evasione fiscale e all’appropriazione indebita, onde evitare «azioni persecutorie che porterebbero a ulteriori e ingenti danni», a danno delle sue aziende, De Masi ha quindi chiesto «il sequestro preventivo di tutti i rapporti esistenti con le predette banche», nonché il sequestro cautelativo «di una somma pari a 150 milioni di euro o, comunque, di quella maggiore o minore ritenuta di giustizia».

LE INVENZIONI

Ma se le sue aziende «sono ridotte al lumicino, costrette ad andare a pietire il domani», a poter accettare dagli acquirenti internazionali dei suoi mezzi agricoli solo cash, di certo lo spirito inventivo del vulcanico De Masi non ne risulta fiaccato. Certo, se fosse vissuto in America, probabilmente sarebbe stato considerato un piccolo Thomas Edison, perché di idee ne ha, tante e innovative, ma anche il più fervido sognatore finisce con lo scontrarsi con la realtà.

E’ sua l’invenzione della Safety Cell. L’idea gli era venuta guardando le immagini della distruzione del terremoto giapponese. Come poter rendere la propria casa sicura, si era chiesto. La risposta era arrivata per mezza di questa cella antisismica, che inserita in un corridoio o in una stanza, era capace di resistere al crollo in caduta verticale di 9,3 tonnellate e di 8,3 tonnellate in pressione orizzontale. Integrandosi perfettamente con l’arredo domestico, per non far torto neppure allo stile. Valutata innovazione dell’anno dalla Ca’ Foscari di Venezia, una volta distribuita avrebbe potuto fruttare 14 milioni di euro alla sua azienda. Avrebbe. Perché per metterla in produzione ci sarebbe voluti 200 mila euro, e, ben noto a tutte le banche, neppure un prestito di 15mila euro è riuscito ad avere.

Ma non si è scoraggiato e dalla semplice osservazione degli alberi “sbattuti” dal vento ha inventato un meccanismo a pendolo capace di trasformare quel movimento in energia elettrica. «Un sistema molto semplice e da quanto ne so unico al mondo. Da ciò ho anche realizzato una seconda variante tramite un profilo alare con alette mobili di pendolo a vento». L’invenzione è stata da poco brevettata e ora attende di essere sviluppata ulteriormente da centri di ricerca o Università. «Le prospettive di tale progetto sono notevoli in quanto non ha nessun impatto ambientale e può essere sfruttata partendo proprio dalla valorizzazione della natura, l’albero».

E SE DAVIDE VINCE GOLIA?

E per futuri finanziamenti, si vedrà. La storia ci ha insegnato che anche Golia può uscire sconfitto, e chissà che il caso o la Provvidenza non aiutino questo Davide calabrese a sconfiggere definitivamente i suoi nemici, per la libertà, quella di tutti, perché rimaneggiando una nota frase di J. F. Kennedy ciò che occorre chiedersi non è ciò che noi possiamo fare per lo Stato ma «quello che possiamo fare per noi stessi, come popolo e come Stato».


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