';

#Napoli, una città prigioniera del #terrore
29 Set 2015 07:25

Ormai, a Napoli, la tensione e la paura sembrano diventare permanenti.

Lo dimostra il grave ferimento dell’agente Nicola Barbato della Squadra mobile napoletana, che era appostato con un collega per acciuffare un estorsore. È solo l’ultimo di una catena di episodi violenti negli ultimi mesi. L’azione delle gang metropolitane di giovanissimi, senza regole e senza limiti, sembra un coltello affondato in una società impermeabile a tutte le offese e sopraffazioni.

Dal centro storico, ai Quartieri spagnoli, a Pianura fino a Fuorigrotta la città è in fiamme. E polizia e carabinieri sono dalla primavera scorsa sotto pressione, rischiando di perdere lucidità e necessario equilibrio.

Lo ha dimostrato l’iniziativa, subito bloccata, di alcuni agenti che, su Facebook, avevano pubblicato la foto del ricercato per il tentato omicidio del loro collega. Inutile negarlo: tra molti poliziotti serpeggia la sensazione di essere abbandonati a se stessi da una città che, spesso, li tollera senza solidarietà. Che chiede sicurezza, ma non collabora con chi rischia la vita. Sembra quasi una lotta esclusiva tra guardie e ladri, in un ok corral circondato dal deserto.

Eppure, negli ultimi giorni, in occasione del ricordo dell’omicidio di Giancarlo Siani, si è parlato a lungo di necessità della memoria, associazionismo e impegno corale. Ma la violenza per la violenza sembra più forte di ogni buon proposito. Quello che accade a Napoli ha da tempo superato per efferatezza i sanguinosi precedenti delle realtà siciliane.

Con l’aggravante che, come sostiene il questore, ci si trova di fronte a «quattro parassiti che scimmiottano i camorristi».

Giovani che maneggiano pc e smartphone, che praticano la violenza anche attraverso foto pubblicate in Rete, con frasi che costruiscono il loro personaggio in un’informazione fai da te in grado di alimentare soggezione criminale. Il reticolo di contatti e collegamenti online nutre se stesso e, in assenza di una carriera criminale reale, ne viene costruita una virtuale che fa già paura e conquista adepti. Per spostarsi poi nella realtà, con spedizioni armate a cavallo di motorini, con bande al massimo di una quarantina di giovani che hanno messo le mani sui guadagni dello spaccio.

Ogni quartiere di Napoli è una realtà diversa. Fuorigrotta, zona ibrida oppressa fino a un anno fa da un clan che ha riciclato centinaia di milioni di euro in tutt’Italia, gli Zazo, assiste sbalordita e terrorizzata a quello che è successo due giorni fa. Schegge impazzite, eredi di quel clan, figli di scenari criminali in cerca di nuovi guadagni hanno sparato ai poliziotti? Di certo, è una criminalità fluida contro cui non bastano certo i palliativi da rituale dei 50 uomini in più, annunciati dal ministro Alfano.

In una città in preda al terrore, dove le analisi criminali e sociologiche rischiano ogni ora di essere superate, non è più pensabile che non ci siano agenti della polizia municipale di sera, per mancanza dei soldi per gli straordinari, a presiedere il territorio. E non è neanche più pensabile che non si sia ancora attuato ovunque il famoso piano di videosorveglienza cittadina, da sempre prigioniero di mille pastoie burocratiche e giuridiche.

Le forze dell’ordine si sentono abbandonate, ma la pressione cui sono sottoposte è ormai a livelli di guardia. Il questore Guido Marino invece, nelle ultime settimane ha negato “che a Napoli ci sia una situazione di emergenza” e ha invocato una città «normale», dove chiunque si senta chiamato a rispettare le regole. E nel suo amaro auspicio c’è tutta la constatazione che, nella più grande metropoli del Mezzogiorno, sembrano saltati valori, freni, equilibri.

Domina la paura, la diffidenza. Basta mostrare i muscoli, per avere ragione della follia vestita da «parassiti» che sparano e ammazzano senza pensarci due volte? No, può essere solo l’inizio, poi bisognerebbe riannodare i fili di una società confusa, che ai poliziotti dà la sensazione di averli abbandonati.


Dalla stessa categoria

Lascia un commento