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Sanzioni contro la pesca illegale: “Non c’è uniformità nell’UE: così si creano più danni”
20 Mar 2017 11:03

Al Sud, si sa, la pesca è un settore fondamentale per l’economia e, se incentivata al meglio, potrebbe diventare finanche un’opportunità di investimento e di guadagno per chi, come i giovani, cercano nuovi orizzonti.

C’è, però, un fenomeno che rischia di danneggiarla, quello della pesca illegale “che provoca il depauperamento degli shock ittici, distrugge gli habitat marini, crea distorsioni nella concorrenza, pone in una condizione di svantaggio i pescatori onesti e indebolisce le comunità costiere, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo”, come si legge sulla pagina apposita del sito della Commissione Europea.

La pesca illegale, tuttavia, va sì contrastata ma con logica e soprattutto con un sistema sanzionatorio uniforme, cosa che manca nell’Unione Europea.

Un argomento di cui si è occupato, con una ricerca che sarà pubblicata ad aprile, il RUO, centro di ricerca di Palermo, la cui presidente, Daniela Mainenti, ha risposto ad alcune domande di Resto Al Sud per approfondire il tema:

Perché il problema della pesca illegale è così importante per l’economia dell’Unione Europea?

La pesca INN è un problema mondiale ma è anche un problema in cui l’Unione europea è chiamata a svolgere un ruolo guida. L’UE dispone, infatti, di una delle più grandi flotte da pesca, rappresenta la terza potenza in termini di catture ed è il più grande mercato e il maggiore importatore di prodotti della pesca al mondo. Le importazioni di prodotti della pesca illegali nell’UE sono state stimate per difetto a 1,1 miliardi di euro all’anno. Ma non si tratta di una perdita puramente economica: in molti casi la pesca INN comporta un elevato costo ecologico. Mentre il 75% degli stock ittici mondiali sono sfruttati al massimo o sovrasfruttati dalle attività di pesca legali, la pesca INN rappresenta la forza nascosta che minaccia di aggravare una situazione già preoccupante. Tale minaccia si estende anche agli ecosistemi marini vulnerabili in un momento in cui la comunità internazionale si è impegnata a proteggerli da pratiche alieutiche distruttive. Per tali motivi la Commissione Europea ha ritenuto che il modo migliore di porre fine a questa attività lucrativa consiste nello scoraggiare tali pratiche criminose rendendo estremamente difficile, se non impossibile, commercializzare con profitto i prodotti della pesca INN all’interno dello spazio economico europeo”.

Che idea si è fatta sulla protesta dei pescatori contro l’inasprirsi delle sanzioni sulla pesca?

Il settore della pesca è stato oggetto, nel corso degli anni, di crescente attenzione ed interesse da parte del legislatore.
 Tuttavia, nei numerosi provvedimenti normativi è mancata, spesso, unitarietà di indirizzo, con la conseguenza che, a tutt’oggi, si ravvisa una normativa di settore non propriamente organica ed omogenea che non facilita il compito dell’interprete e soprattutto dell’operatore, sia per l’individuazione degli interessi tutelati, sia per il coordinamento delle norme al fine della loro concreta applicazione. Il fenomeno sopra descritto origina dal fatto che detta normativa è il frutto di molteplici provvedimenti emanati in periodi anche molto lontani e diversi tra loro, per cui si è giunti alla coesistenza di disposizioni cui sottendono concezioni del tutto eterogenee e, addirittura, in qualche caso, contrastanti.
 Ciò rende difficile l’individuazione dei beni giuridici protetti poiché, nel corso degli anni, diversi sono stati gli interessi considerati meritevoli di tutela da parte dei vari legislatori. Così, ad esempio, accanto a disposizioni rivolte alla protezione della pesca intesa quale esercizio di una situazione giuridica soggettiva facente capo al privato, se ne aggiungono altre dirette a tutelare, in via prioritaria, le risorse biologiche del mare e l’ambiente marino. La protesta dei pescatori rappresenta solo l’estremo limite di una situazione di malcontento e incomprensione delle scelte legislative in questo settore. Spesso esse vengono vissute come esclusivamente vessatorie senza che sia stata adeguatamente comunicata e condivisa con gli operatori la portata degli interventi più penetranti in termini di limiti di sfruttamento di una risorsa, il mare che è, e resta, un bene comune”.

A proposito di sanzioni, quali sono gli elementi principali che sono scaturiti dalla ricerca di RUO?

“La ricerca condotta da RUO Research Unit One, Centro di Ricerca sulla Comparazione Giuridica, ha evidenziato come la presenza di differenti approcci nell’applicazione dell’impianto sanzionatorio di contrasto alla pesca illegale tra gli Stati Membri abbia causato un forte pregiudizio all’uniformità delle condizioni operative nel mercato interno EU. Tali premesse, semmai, possono fornire un incentivo ad attuare abusi di mercato negli Stati membri che non prevedono sanzioni penali per tali reati e, in alcuni casi, anche un pericoloso incentivo alla violazione della norma. Se da un lato, quindi, il legislatore comunitario ha previsto che ciascuno Stato Membro debba recepire la normativa, implementandola all’interno del proprio ordinamento, dall’altro non vi è stata una risposta unanime e completa da parte degli Stati. La mancanza di uniformità nella lotta alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata si traduce, a nostro avviso, nel fallimento della politica di armonizzazione sul settore“.

Infine, una domanda sulla ricerca in generale. Al Sud si può fare così come altrove o ci sono oggettive difficoltà? 

La difficoltà principale è la cronica mancanza di fondi. Essa non consente di avviare una programmazione scientifica di lungo respiro, soprattutto di livello internazionale, ma di lavorare su singoli piccoli progetti contingenti di cui si possa garantirne la sostenibilità. Il rischio serio è che tale deficit esponga la ricerca, non solo quella giuridica ovviamente, ma tutte le sue possibili declinazioni, ostaggio degli interessi di committenze di parte a scapito della sua autonomia ed indipendenza. Ecco perché il sostegno economico ad essa dovrebbe essere pubblico e tale non mi riferisco solo alla ricerca strutturata a livello statale ma anche ad un sistema pubblico che valorizzi virtuosi impegni di gettiti fiscali, attraverso forme più risolute di agevolazioni per il contribuente che destina parte del suo carico contributivo alla ricerca, anche, attraverso forme più mirate della imposizione indiretta”.


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