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Sapere e saper fare con il cuore. Ecco la chiave del cambiamento
02 Lug 2013 12:03

Va bene, facciamo così. Evitiamo di scomodare Wittgenstein per ricordare che senza le parole e i loro significati, senza il linguaggio, la realtà, questo imprevedibile e affascinante miscuglio di cose, fatti, ragioni, passioni, sentimenti, sarebbe per noi inaccessibile, dato che non sapremmo come comunicarla e dunque condividerla. Okkei. Lasciamo perdere anche Donne e l’idea che “nessun uomo è un’isola” e persino Hume e il bisogno di sottrarci al castigo per noi insopportabile della solitudine involontaria. Per dire che le parole sono importanti e che i contesti nei quali le usiamo sono importanti basta Michele, uno degli straordinari personaggi nati dall’ingegno di Eduardo: “C’è la parola adatta, perché non la dobbiamo usare? Parliamo co’ ’e parole juste ca si no m’imbroglio”.

Già. Parliamo co’ ’e parole juste ca si no m’imbroglio. Nel caso specifico la parola giusta per riferirsi alla politica che ha per protagonisti i cittadini e non i partiti, le lobby, le caste, è “alto”, non “basso”. Proprio così. Ogni qualvolta noi “semplici” cittadini decidiamo di confrontare le nostre opinioni e di far valere le nostre ragioni nell’ambito dello spazio pubblico facciamo politica “dall’alto”, non “dal basso”, dall’alto della nostra partecipazione, dall’alto della nostra cittadinanza.

Non è un gioco di parole, che peraltro non ho ideato io ma il mio amico Luca De Biase che lo ha utilizzato nei suoi ragionamenti intorno al concetto di informazione. È piuttosto una risposta al bisogno di mettere la politica sottosopra, di sparigliare le carte, di tornare a giocare il gioco in cui la politica è fatta di partecipazione, non basta ricercare il fine o lo scopo, occorre tornare a darle senso. Proprio così. Se si vuole rafforzare la nostra democrazia, migliorare le sue qualità, occorre che ciascuno porti il proprio mattoncino, che ciascuno contrasti le derive della sfiducia e della rassegnazione con la forza delle idee, della proposta, della partecipazione, della responsabilità, rifiutando ogni modello incentrato sulla figura carismatica, sull’uomo solo al comando.

Non è l’isola che non c’è, sono tantissime le esperienze, le forze, i fatti che ogni giorno, in una variegata molteplicità di contesti ci dicono che si può fare, si fa. Facciamo qualche esempio?

Il Partito Democratico di Pomigliano D’Arco che restituisce alla città la vecchia stazione della Circumvesuviana di via Roma e mette su una Festa de l’Unità che nell’anno di grazia 2013 sembra uscita dall’album dei ricordi tanto è sentita, partecipata, coinvolgente. Sarà un caso che il segretario della sezione, Michele Tufano, ha diciannove anni, tanta passione per le cose che fa, tanti rapporti, e autorevolezza, con i ragazzi della sua età, tanti legami con la storia culturale, sociale e politica della città? Io dico di no, ma se volete saperne di più cliccate qui. E qui.

La Fondazione Ahref che cura uno studio per il Senato che per la prima volta in Italia apre la strada alla presenza dei cittadini nella vita del Parlamento attraverso media civici digitali. Se volete saperne di più cliccate qui. E qui.

Intere comunità che si mobilitano intorno all’Istituto Teodoro Gaza di San Giovanni a Piro in Cilento e alla sua Dirigente Maria De Biase per difendere anni di profondi cambiamenti culturali e sociali che una legge dello Stato rischia di mandare all’aria. Se volete sapere di più cliccate qui. E firmate qui.

E poi potrei citarvi i dati della ricerca di Italia Startup secondo i quali cresce sempre più la fiducia e la propensione dei giovani italiani verso l’autoimprenditorialità. Se volete saperne di più cliccate qui. E poi, e poi, e poi, perché non basta mica un post per fare gli esempi, ci vuole la rubrica telefonica e non si può non serve.

Serve invece domandarsi perché tutto questo non si traduce nel cambiamento culturale, sociale, economico, di cui c’è bisogno. Certo che lo so che per queste cose qui ci vuole il tempo che ci vuole, ma per me non è solo questione di tempo. È che in questo gioco qui chi fa da se non fa per tre, è che bisogna allargare l’area della consapevolezza e delle connessioni, è che bisogna raccontare le dieci, cento, mille storie di successo, bisogna collegarle, bisogna farne la leva per far girare l’ago della bussola, dal valore dei soldi al valore del lavoro, dal valore di ciò che hai al valore di ciò che sai, e sai fare.

Il lavoro fatto con la testa (il sapere), con le mani (il saper fare) e con il cuore (la passione che metti nelle cose che fai) può essere la chiave del cambiamento. Bisogna mettere in rete i milioni di cuori artigiani che popolano il nostro bel paese. Bisogna farlo qui. Ora. Perché in questo gioco funziona proprio come in Ogni maledetta domenica. Perché la vita è un gioco di centimetri. Perché i centimetri che ci servono sono intorno a noi, dobbiamo imparare a vederli, dobbiamo essere disposti a lottare per conquistarli. Perché sarà la somma di questi centimetri a fare la differenza. Perché o ce la facciamo adesso, come collettivo, come Paese, o saremo annientati individualmente.

Buona partecipazione.


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