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L’Aquila, austera, orgogliosa, resiliente e ferita come noi
28 Feb 2015 08:24

Alcune sere fa rientrando a L’Aquila da Roma, all’altezza dello svincolo autostradale di Torano, al confine Lazio-Abruzzo, ho avuto un sobbalzo.

Mi è parso di rileggere i cartelli autostradali rossi con scritte bianche che indicavano DI.CO.MAC, COM1, COM2. Quelli che nel 2009-2010, da ovunque arrivassi, mi ricordavano che stavo superando la ”linea Maginot”, al di là della quale c’era un universo parallelo.

Un universo dove si era insediato un dipartimento di COMANDO E CONTROLLO, per sorvegliare e dirigere un territorio frantumato da un evento catastrofico e tutti i terremotati. Ogni volta, salutavo la vita che c’era dall’altra parte della linea e mi immergevo in quella diversa, pronta alla sopravvivenza e alla lotta.

A quel tempo mi dicevo che avrei rinunciato alla mia casa per riavere una città e mi rendevo conto benissimo di ciò che dicevo. Lo ripeto ora che ho una casa, senza la mia amata città.
Per un attimo ieri ho rivissuto la sensazione di entrare ancora una volta in una vita diversa, nella quale, senza una città, non mi sento neanche più cittadina.

Superata di nuovo la “linea Maginot” o, se volete, il “Checkpoint Charlie”, in lontananza L’Aquila, dopo l’ultima galleria, mi è apparsa ferita, austera, orgogliosa e resiliente con il suo nuovo skyline intriso di gru illuminate.

Austera, orgogliosa, resiliente e ferita come me, come noi.

Ed ho provato una struggente comunanza.


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