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Le #pensioni da miseria che attendono i #giovani
11 Giu 2015 07:42

Il sistema pensionistico futuro è in equilibrio. Ciò si deve a un lungo processo riformatore, iniziato con la riforma Dini e concluso con la riforma Fornero (15 anni!). Il governo fa bene a proporre la possibilità di pensionamento anticipato, cosa che, del resto, poteva essere prevista anche nel 2011. Ciò perché in un sistema interamente contributivo ciascuno prenderà in ragione del versato e della speranza di vita. Prima va in pensione e meno versa, restandogli più tempo da vivere senza lavorare. Fa male, però, a inoculare illusioni e paure, tirando il sasso e nascondendo la mano, rinviando tutto alla legge di stabilità: anticipando la pensione non si perderà “qualcosina”, ma molto. E fa male a nascondere l’amputazione che deriva dal ricalcolo interamente contributivo. Né potrebbe essere diversamente, se non si vuole riscassare un sistema che è fra i più equilibrati d’Europa. Con un non trascurabile dettaglio: le pensioni saranno basse. Per i giovani la cui carriera lavorativa è discontinua saranno bassissime. Il sistema, pertanto, si regge solo a patto che ciascun lavoratore si rassegni alla miseria o investa nella previdenza integrativa. Cosa resa difficile, se non impossibile, da una pressione fiscale forsennata, che consegna allo Stato quel che il privato dovrebbe risparmiare per sé.

Il sistema resta squilibrato perché squilibratissimo è il passato, quindi il riflesso fiscale e previdenziale che proietta sui lavoratori di oggi (e di domani). Ogni anno lo Stato spende il 16.5% del prodotto interno lordo per pagare le pensioni, ben più di quel che costano i suoi dipendenti. E’ una quota troppo alta, senza paragoni fra le democrazie sviluppate e industrializzate. Contiene, però, due zavorre: a. si trova sotto la voce “pensioni” quel che dovrebbe stare al capitolo “assistenza” (per cui chi dice che la nostra spesa sociale è bassa, rispetto ad altri europei, semplicemente non sa far di conto, o s’abbevera a conti sballati); b. all’incirca la metà delle pensioni attuali non è retta da adeguati contributi versati. La differenza è un trasferimento di ricchezza da chi lavora oggi a chi lavorò ieri (sperando che abbia lavorato). Sono regali fatti in nome di “diritti acquisiti” che, talora, sono solo contributi figurativi (come Matteo Renzi, del resto, che diventa dirigente d’azienda prima che la provincia di Firenze cominci a pagare per lui i contributi previdenziali). C’è qualcuno che mangia nel piatto di altri. Vogliamo dirlo, ai proprietari del piatto fornitore?

L’informazione sui vitalizi parlamentari (che non sono nel conto delle pensioni, ma restano spesa pubblica, a dimostrazione che la voce ha un peso assoluto e percentuale superiore a quello pur esagerato e prima ricordato) è preziosa perché dimostra che non si regalano soldi ai poveri, ma ai privilegiati. Chi ha meno dona a chi ha avuto e continua a prendere di più. Tale evidenza dovrebbe essere sfruttata per abbattere la fortezza iniqua dei presunti “diritti acquisiti”. Fra le pensioni che incorporano un regalo ce ne sono molte di basso livello, il che rende ragionevole il permanere del trasferimento, ma ce ne sono di esagerate, talché quel permanere è uno sberleffo. Quei numeri servono la soluzione su un piatto d’argento. Se solo si è in grado di capirli. Il valore assoluto dei regali agli ex parlamentari non è tale da risolvere altri problemi, ma il ricondurli alla ragionevolezza contabile ha un valore altissimo. Si chiama: buon esempio.

Al contrario, invece, come fa il governo nel suo decreto, decurtare l’adeguamento all’inflazione (per giunta patologicamente bassa) per le pensioni più alte è un’ingiustizia che configura comunque un’incostituzionalità, con annesso gioco dell’oca dei ricorsi avverso la non applicazione di una sentenza. Inoltre non è sensato, perché si assume che la pensione sia pari al reddito e il suo livello indichi la ricchezza individuale, il che non solo non sta scritto da nessuna parte, ma è spesso falso. Se le pensioni si dividessero in rette o meno da contributi versati, avrebbe un senso, per le seconde, un adeguamento deflattivo, mentre sarebbe un furto per le prime. Se prendo in ragione di quel che ho versato la mia pensione non è alta o bassa, è mia, sicché punirmi (dopo avermi costretto a versare) è da assatanati. O da incapaci, che avendo ereditato un sistema in equilibrio futuro non sanno dove mettere le mani per riportare un accettabile equilibrio anche per il presente. Non sapendolo le mettono nelle tasche sbagliate, vellicando gli umori intestinali di chi non ragiona in termini di giusto e ingiusto, equo e iniquo, ma di ricchi e poveri. Alimentando quella rabbia indistinta da cui poi saranno travolti, perché gli arrabbiati, come loro, sono erroneamente convinti che si possa vivere sempre alle spalle dello Stato, supponendo che ad ostacolare questo infernale paradiso ci siano regole economiche da abbattere, vincoli da svellere o profittatori da sterminare. I profittatori, invece, sono proprio loro.


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