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Maledetto Sud, non siamo condannati al sottosviluppo
03 Nov 2013 09:23

Ho letto in questi giorni un bellissimo libro di Vito Teti Maledetto Sud. Un testo molto asciutto che si pone un obiettivo complicato, liberare il Sud da tutti gli stereotipi che lo raccontano e lo affossano. Quelli che ci vengono appiccicati addosso dall’esterno e quelli auto-assolutori che pure ci fanno tanto comodo.

Lo stereotipo che mi ha colpito (e anche ferito di più) è quello sul Sud maledetto, incapace di rialzarsi, di riscattarsi, di farcela con le proprie forze. Uno stereotipo che deresponsabilizza i meridionali, accusando sempre qualcosa o qualcuno delle cose che non vanno: la natura, la sorte, Dio, lo stato, la politica.

Lo stesso stereotipo, alla fine, è stato utile a chi ha governato il Paese per impostare una visione di sviluppo dirigista e totalmente indifferente alla peculiarietà del territori meridionali. Ne ho già parlato, raccontando l’ultimo di libro di Borgomeo, L’equivoco del Sud.

L’equivoco di cui parla Borgomeo è il paradigma che, sin dal dopoguerra, si è imposto al Sud, condannandolo ad inseguire il livello di reddito del Nord, ad importare modelli estranei alla cultura e alle tradizioni, di fatto a costruire una dimensione politica di sempiterna dipendenza.I risultati di queste politiche? Da un lato la mancanza di uno sviluppo locale sano, pienamente integrato e condiviso con i territori e le comunità, che sulla responsabilità, sulla concorrenza e sul merito producesse coesione sociale. Dall’altro impresa da commessa pubblica, e parapubblica, il clientelismo, l’assistenzialismo, il familismo amorale, la cooptazione, l’illegalità diffusa, le mafie, l’assenza di mobilità sociale, il brain waste dei talenti formati, che non sono solo il frutto di una politica nazionale rigidamente verticale ma sono pienamente dovuti alla responsabilità politica e sociale di chi ha governato nel Sud.

L’equivoco che qui ho ricordato è diventato nel tempo lo stereotipo del Sud bisognoso di aiuto esterno, che in un contesto di sottosviluppo, di mercato dopato dai finanziamenti pubblici foraggia una classe dirigente estrattiva, totalmente impermeabile al cambiamento. Che sia la Cassa del Mezzogiorno, o le risorse europee, se questo paradigma non viene rovesciato, il Sud si condanna (o è condannato) a questo perenne stato di prostrazione.

Ieri a Palermo, al convegno Parchi come luogo di incontro tra green society e green economy, Andrea Orlando ha detto chiaramente che deve essere messo in discussione questo paradigma di sviluppo sbagliato che non solo non ha colmato il divario tra Nord e Sud, ma lo ha addirittura allargato, perché questi territori non hanno avuto i benefici del processo di industrializzazione e hanno pagato il conto di costi ambientali altissimi. Orlando indica l’economia verde come fattore di sviluppo del Mezzogiorno, in grado di preservare le bellezze dei luoghi e di valorizzare le produzioni e le vocazioni. E si è spinto fino ad individuare i parchi e le aree protette come protagonisti della prossima programmazione 2014-202o delle risorse europee destinate alle aree interne.

Ora sinceramente non so se questo sia l’unico modello di sviluppo possibile per il Sud, ma sicuramente mi pare quello che più di ogni altro possa essere rispettoso e corrispondente a questa parte di paese. Ed è forse la strada maestra per liberare il Sud da tutti gli stereotipi ed equivoci che lo condannano.

 


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