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Da simbolo di degrado, a biglietto da visita: Parco San Felice, il modello da imitare
27 Nov 2017 09:41

Dove c’era devastazione, bruttura, vandalismo, adesso è spuntata un’opera d’arte. Una scultura di metallo. Prigionieri del mondo, donata da Pasquale Pepe, l’artista fabbro che dando forma al metallo canta la speranza di pace e racconta l’orrore della violenza. Efflorescenze che s’intrecciano, a simboleggiare un cuore che pulsa di speranza. Come quello di Parco San Felice, a Foggia, che da un anno pulsa di vita nuova.

L’opera è stata inaugurata in occasione del primo compleanno di Parcocittà, la rete di associazioni che si è assunta l’onere della gestione del centro sociale che dopo soli dodici mesi si è profondamente radicata nel tessuto sociale, civile e culturale del quartiere, della città.

Sembra passato un secolo, da quando Parco San Felice era assurto a simbolo dell’endemico degrado della periferia foggiana: il centro sociale sorto nell’ambito del piano Urban era stato completamente vandalizzato, gli spazi verdi e il parco giochi sporchi. L’impressione prevalente era quella dell’abbandono, di un destino segnato.
Grazie a Parcocittà, Parco San Felice è tornato ad essere nuovamente un attrattore, e non solo per una salutare passeggiata o per godere un po’ d’aria fresca quando incombe la calura. Il centro sociale, recuperato e riqualificato, con l’annesso anfiteatro, è divenuto il principale aggregatore di iniziative culturali della città: convegni, concerti, proiezioni, mostre, infittiscono e impreziosiscono un cartellone di qualità.
Da simbolo di degrado, è diventato il biglietto da visita, fiore all’occhiello di una città che non s’arrende, che vuole ritrovarsi e partecipare.

Il segreto del successo – un successo sul quale non avrebbero scommesso in molti, visti i precedenti – sta nel ruolo, finalmente protagonistico, della società civile e nel metodo, nella capacità che le diverse associazioni facenti parte del cartello che a suo tempo si è aggiudicato il bando comunale, hanno dimostrato di saper fare autenticamente rete, suddividendosi intelligentemente ruoli e funzioni, con un occhio particolarmente attento a dare spazio alla creatività.

E’ particolarmente significativa, in questo senso, la più recente creatura di Parcocittà, la galleria d’arte, che viene autogestita da un gruppo di artisti, e che nel volgere di pochi mesi ha messo assieme già una decina di mostre, tutte di buon livello. Una galleria d’arte che sorge e prospera nel cuore della periferia foggiana, in una città che ha registrato una progressiva morìa di istituzioni culturali, è veramente una bella notizia.

Occorrerebbe davvero che il “metodo Parcocittà” venisse replicato ed esportato in altri contesti, cittadini e non. Per esempio, potrebbe venire applicato ad altre situazioni critiche, ad altri contenitori culturali costretti alla chiusura, come il compianto Orto degli Attori o che vivono in situazioni di limbo, come il Teatro del Fuoco, sospeso tra la Provincia di Foggia, che ne è proprietaria ma che la riforma Delrio ha privato di funzioni nel settore culturale, e il Comune di Foggia, che avrebbe la titolarità della funzione, ma non i quattrini necessari per il suo funzionamento.
La galleria d’arte di Parcocittà è stata allestita con poche centinaia di euro, grazie all’estro e alla creatività degli artisti che l’hanno promossa. L’ente pubblico sarebbe stato costretto ad una onerosa gara d’appalto.
Il caso Parcocittà dimostra che le sinergie tra pubblico e privato, tra l’istituzione locale e la società civile possono funzionare. Ed essere vincenti.


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