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Gli inventori italiani possono sconfiggere la crisi
21 Dic 2013 07:00

Recentemente è stata riportata dagli organi di stampa la notizia che, negli ultimi cinque anni, il numero dei brevetti italiani concernenti la tecnologia “green” registrati in Europa è aumentato del 5,4%, e quelli nelle “KET” (acronimo di “Key Enabling Technologies”: tecnologie abilitanti) dell’1,1%.

Tali percentuali, pur essendo modeste in termini assoluti, permettono d’individuare l’ormai insperata presenza nell’economia italiana di contemporanei processi d’innovazione in diversi settori produttivi. Anzi, è possibile riconoscere una particolare specializzazione italiana, in quanto, tra il 1999 ed il 2012, l’Ufficio Europeo dei Brevetti ha pubblicato più di 14.000 domande italiane riconducibili alle KET, pari al 27,9% di tutta l’attività brevettuale italiana rivolta al mercato europeo. In particolare, il 69,5% dei brevetti KET si concentra nella manifattura avanzata, mentre seguono, a grande distanza, i materiali avanzati (10,2%), la fotonica (7,4%), le biotecnologie (6,8%), la micro e nanoelettronica (5,7%) e le nanotecnologie (0,4%).

In termini quantitativi, bisogna evidenziare che vi è stata una contrazione delle domande italiane registrate negli uffici Unione Europea, in quanto esse sono passate dalle 4.423 del 2008 alle 3.891 del 2012, con una riduzione media annua del 3,6% negli ultimi cinque anni.

Tuttavia, gli “inventori” italiani hanno affrontato la crisi, mirando a brevetti di qualità e concentrandosi sui settori applicativi che la Commissione Europea reputa a forte valenza strategica, con ricadute positive sia sulla competitività delle nostre imprese sia sulla capacità di attrarre capitali.

Questa tendenza è rinvenibile, in primo luogo, nel settore della c.d. “green economy”, alla quale è riconducibile il 5,5% delle domande. I brevetti italiani arrivano soprattutto dalle imprese, che coprono l’85,8% delle domande presentate tra il 1999 e il 2011.

Proprio in virtù del forte ruolo svolto dal settore imprenditoriale, non sorprende affato il dato che vede in testa a questa particolare graduatoria la Lombardia, con 18.352 domande, il 35,2% del totale. Seguono l’Emilia Romagna, con una quota del 15,6%, il Veneto (11,9%), il Piemonte (11,4%), la Toscana (5,7%) e il Lazio (4,6%).

Invece, agli inventori intesi come “persone fisiche” sono da ricondurre soltanto il 14,2% delle domande.

Agli enti rimane il 2,5%. Infine, l’ultima posizione è occupata dagli stranieri cointestatari, con l’1,4% del totale.

Pur risultando marginale la quota degli enti, l’esame dei dati in successione rivela un miglioramento. Infatti, Enti e Università sono passati dall’1% del 1999 al 3,2% del 2012, con un picco del 3,6% nel 2011.

Bisogna evidenziare che le imprese e le università hanno specializzazioni molto diverse. Se, infatti, le imprese svolgono la loro attività brevettuale soprattutto sul packaging (8,5% delle domande), trasporti (7,2%), ingegneria civile (6,4%) ed altri macchinari speciali (6,1%), le università lavorano sulle biotecnologie (19,3%), sui prodotti farmaceutici (11,9%), strumenti e tecnologie di misura (9,8%), chimica organica fine (7,7%) e tecnologie medicali (7,2%).


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