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Il cuore di Savona per L’Aquila
28 Nov 2014 08:43

L’ultima partita dell’Aquila calcio è tutta da incorniciare.

Non solo per la vittoria in casa sul Savona e per la conquista del secondo posto nel  girone B di Lega Pro, ma soprattutto per  uno striscione, quello che si vede in foto.

Lo striscione è stato accolto dagli spalti dei tifosi aquilani con un lunghissimo e caloroso applauso. Insomma L’Aquila si è commossa.
In un mondo del calcio, funestato da cattive notizie, spesso relative ad episodi di violenza e intolleranza, il tifo di domenica scorsa a L’Aquila  è più di una luce in fondo al tunnel.

In più sul sito della società calcistica del Savona è apparsa una lettera di accompagnamento a quello striscione che vale la pena di essere letta da capo a piedi.

Grazie Savona.

Non ci vuole molto per capire di essere arrivati a destinazione: dall’autostrada si vede in lontananza una foresta di gru da edilizia, con una densità e in un numero tali da renderle indistinguibili.
Per gli Europei il centro storico rappresenta l’essenza stessa della città, non per niente in tutto il Vecchio Continente le principali manifestazioni vengono organizzate in quello che viene considerato il cuore della località. Anche gli stadi venivano costruiti nelle vicinanze del centro e solo in epoche più recenti, per far fronte ad esigenze di mobilità, accessibilità e anche sicurezza, si è cominciato a spostarli in zone più periferiche o meno densamente popolate.

A L’Aquila lo stadio risale agli inizi degli anni ’30, per cui è normale che sia posizionato a ridosso della città vecchia, in attesa del nuovo che dovrebbe essere terminato il prossimo anno. Al “Fattori” i tifosi savonesi si sono presentati al termine di una settimana non semplice per quelli locali: la sentenza della Corte d’Appello sulla Commissione Grandi Rischi (tutti assolti gli imputati) non è stata accolta favorevolmente dalla popolazione aquilana, che proprio per ieri pomeriggio aveva indetto una manifestazione di protesta. Ma da queste parti nessuno sapeva che nel comitato organizzatore c’erano anche i tifosi organizzati del capoluogo abruzzese, così come nessuno aveva idea di quello che avrebbe visto al termine del lungo viaggio di trasferimento da Savona.

Descrivere lo scenario che si presenta agli occhi del visitatore nel centro storico de L’Aquila non è per nulla semplice: anche se ormai sono passati 5 anni dal sisma, la devastazione è ancora agghiacciante. I palazzi risanati spiccano come fiori in una landa desolata, si capisce che sono stati ultimati da poco se non da pochissimo e guardandosi intorno si comprende il tempo che richiederà la conclusione dell’opera.

Favorita dalla giornata festiva la desolazione è totale, assoluta: girando per strade e piazze non si scorgono segni di vita, a parte qualche fugace esercizio commerciale (per lo più bar o ristoranti) che riesce a radunare intorno a sé un rado capannello di persone. Per il resto, il nulla più assoluto. Una città fantasma in cui il senso di disagio aumenta quando, ma ci vuole un po’ per capirlo, ci si rende conto che mancano le quintessenze della vita stessa: ad esempio, non si vedono panni stesi; non si sentono radio o televisori accesi; lo sguardo non incontra una pianta, un vaso di fiori, un uccello, un gatto. Cani sì, rigorosamente randagi ma non pericolosi: fanno branco ma non si sottraggono alla carezza, anzi la sollecitano con l’atteggiamento e nessuno gliela rifiuta nonostante (o forse proprio a causa) la sporcizia e le menomazioni; nei loro occhi si legge la mestizia di una vita grama, ma indissolubilmente legata a quei luoghi spettrali nei quali si aggirano.

Durante una guerra spettacoli del genere sono purtroppo all’ordine del giorno e nessuno ci fa particolare caso, ma nel 2015 saranno 70 anni che l’Italia non vede un conflitto sul proprio territorio, quindi a varcare il confine fra la città nuova e quella vecchia è come essere catapultati all’indietro di parecchie decine di anni. I palazzi, a parte i pochi risanati, sono tutti tenuti assieme da travi e putrelle di ferro che fanno sì che non si sbriciolino uno dopo l’altro. All’interno degli appartamenti non esistono più porte, finestre e persiane, perché i tiranti attraversano le case da un lato all’altro per dare la necessaria stabilità ai rinforzi esterni.

E poi le chiese a cui mancano tutte le parti alte, quindi più deboli: tetti e tratti terminali di campanili, sostituiti da impalcature in ferro sotto cui si vede la faticosa opera di ricostruzione; la pavimentazione sbrecciata, spaccata dalle scosse; il tendone bianco del posto di primo soccorso ancora lì, a 5 anni di distanza, in piazza Duomo. Ovunque crepe, steccati, cantieri. Associando queste immagini a quelle delle fotografie che sono state appese lungo il corso principale e che ritraggono persone avvolte in coperte in mezzo alle macerie a disastro appena avvenuto, ci si rende conto di come la forza della natura possa sconvolgere la vita degli esseri umani nel giro di qualche istante; il dolore interiore che deve provare chi passa e vede i luoghi nei quali abitava o lavorava che adesso sono ancora lì, ma vuoti e devastati. Ricollegandosi a quanto successo recentemente dalle nostre parti, non si può non pensare che chi ha la fortuna di vivere in una zona non sismica dovrebbe rispettare l’ambiente circostante e non violentarlo per esigenze speculative.

Più di ogni parola sulla caducità delle ricchezze terrene, sulla provvisorietà delle opere umane, sul legame fra uomo e natura, gli scritti filosofici, le conferenze degli scienziati, le omelie papali… per capire il vero senso di tutto ciò, sarebbe necessaria una visita a L’Aquila: la scolaresca che abbiamo incrociato nel nostro peregrinare fra i vicoli (complimenti agli insegnanti che hanno organizzato la gita) era la più seria che ci sia mai capitato di vedere, colpita nel profondo nonostante la giovane età.
“Perché non hai fatto delle foto?” è stata la domanda. “Non me la sono sentita” l’unica risposta possibile.


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