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La paura del sentito dire, di un cittadino del #Sud
08 Apr 2016 09:45

Con questo mio primo pezzo da blogger ho deciso di condividere una precisa sensazione. Quella che prova una donna o un uomo del sud quando scopre che le sue strade, quelle che ha percorso milioni di volte in milioni di situazioni, i suoi movimenti, quelli che si è sempre sentito libero di compiere e gli spostamenti che da sempre fa senza limitazioni di sorta, in realtà mettono la sua vita in costante ed estremo pericolo. È una scoperta che credo inneschi nello scopritore un processo che segue una chiara e limpida direzionalità: dalla resistenza si passa al dubbio per giungere poi a giovarsi del proprio ruolo di sopravvissuto.

Solamente chi ha vissuto questa sensazione può comprenderla e solamente chi possiede piena conoscenza del proprio territorio e profondo amore per esso può provarla. Scegliere di restare al sud significa viverla e riviverla e meravigliarsi ogni volta dell’effetto che può avere su di sé. Notizie reali si mischiano a leggende metropolitane e a stereotipi carichi di contraddizioni, creando nell’intervistatore “straniero” una sorta di eccitamento adrenalinico che l’intervistato autoctono prova quasi dispiacere a frustrare. In questa ricerca spasmodica del pericoloso e dell’eccezionale, perdono d’importanza descrizioni approfondite della complessità che non contengano caratteristiche folkloristiche o aneddoti ripugnanti.

Provare a dissuadere il proprio interlocutore attraverso la narrazione di milioni di insignificanti episodi di vita ordinaria è una strategia perdente, si passa per sprovveduti, per bugiardi o, peggio, per audaci generali oramai abituati alla vita da trincea. I racconti su quanto sia tutto (o quasi) normale vengono di continuo interrotti da domande sull’emergenza, fino al momento in cui, e qui si giunge alla fase 2, sorge il dubbio di non essersi mai accorti dell’effettiva pericolosità della propria città, del fatto che la gente normale vivrebbe davvero chiusa in casa, che sono state commesse centinaia di imprudenze, che si sta cercando di difendere una terra indifendibile, che i propri occhi si sono assuefatti alla deformità del reale, che si è davvero dei sopravvissuti, che il senso di appartenenza porta all’incapacità di giudizio, che… che in fondo cosa cambia se racconto che ero presente a quella sparatoria di cui ho solo sentito parlare? E se dico che la militarizzazione di una città è la prova della sua pericolosità anziché del fallimento della politica? E se lascio credere che i nostri governanti sono tutti corrotti e ci aggiungo che quelli che non lo sono hanno bisogno della scorta? In fondo quanto interesse posso suscitare parlando dei problemi del ciclo dei rifiuti, della differenziata, dell’incenerimento? Non è più facile parlare del lerciume di un popolo? E non c’è forse qualcosa di vero in questo? Mostrandomi spavaldo e disilluso oggi posso attirare su di me ammirazione e curiosità. In fondo domani andranno via e io tornerò alla mia vita normale (o quasi) in un posto normale (o quasi).


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