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La politica è stata complice della camorra nello scempio della terra dei fuochi
06 Nov 2013 09:53

Le dichiarazioni di Carmine Schiavone risalenti al 1997 certificano le evidenze emerse in questi vent’anni di inchieste condotte da giornalisti e associazioni ancor prima che da magistrati e forze dell’ordine: in Campania e in altre regioni del Mezzogiorno i cittadini vivono – e purtroppo muoiono – sopra una montagna di rifiuti speciali e tossici interrati dalle mafie.

La decisione di togliere il segreto di stato al documento della Commissione ecomafie interrompe finalmente l’omertà politica e istituzionale che ha sempre caratterizzato il tema della gestione del ciclo illegale (e spesso legale) dei rifiuti da parte della camorra. Le parole del collaboratore di giustizia confermano, qualora ce ne fosse bisogno, la diffusione territoriale del fenomeno, le enormi responsabilità di politici, imprese e organizzazioni criminali che sono dietro l’avvelenamento di vaste porzioni di territorio, nel Mezzogiorno e non solo.

Per tante aziende lungo lo Stivale, a cominciare dalle grandi industrie del Nord, l’interramento e l’incenerimento a cielo aperto di scorie tossiche in luogo di un processo di trattamento ben più costoso, ha rappresentato una ghiotta opportunità di profitto illecito. Così oggi le istituzioni repubblicane che lo hanno (scientemente?) consentito devono fare i conti con un boomerang in termini di costi ambientali, sanitari ed economici. Come sempre, il profitto di pochi è finanziato dalla collettività, con l’aggravante che stavolta alcuni territori e migliaia di persone stanno pagando con la vita.

In questo scenario la politica deve uscire dal silenzio e battere più di un colpo deciso, mostrando di comprendere la portata nazionale del problema e rimodulando la scala delle priorità in virtù del grido d’allarme che giunge dalle province di Napoli e Caserta.

Servono immediatamente mappature e bonifiche e va fatto ogni sforzo affinché queste ultime non siano l’ennesimo sporco affare per gli stessi clan e colletti bianchi che hanno determinato l’avvelenamento. Proprio per rimarcare la responsabilità di un intero Paese dinanzi a una tale devastazione, l’area del Litorale Domitio-Flegreo e Agro Aversano, recentemente declassificata a sito da bonificare di interesse regionale, va immediatamente riclassificata come Sito di interesse nazionale (Sin) prevedendo strumenti e risorse per partire subito con un’attività di bonifica le cui fasi e le cui modalità non devono lasciare adito a dubbi. Dopo la bonifica bisogna che le aree contaminate siano riconvertite a colture “no food”, altra cosa che da anni si annuncia e non si realizza.

Va poi sbloccata l’attivazione del Registro regionale di tumori, alle prese con un continuo irritante “stop and go” che non consente di comprendere, ad esempio, perché in Campania ci sono neoplasie tipiche degli scenari di guerra dei decenni scorsi mentre i medici di base rilevano un incremento esponenziale delle prescrizioni legate a tumori e della somministrazione di morfina.

Altrettanto urgente è un’operazione trasparenza sull’intera filiera dell’agroalimentare pulito e tipico, affinché non venga inferto un colpo mortale all’economia locale e giunga una risposta immediata innanzitutto alle paure dei cittadini di quei territori, che non hanno strumenti sufficienti per distinguere il cibo sano da quello eventualmente contaminato.

In generale, la criminalità organizzata, le aziende complici e i pezzi di Stato conniventi devono risarcire questi territori e i loro abitanti. Bisogna utilizzare le risorse sottratte a camorristi, inquinatori e corrotti per puntare sull’occupazione che può derivare da tutto questo: bonifiche, filiera certa, economia food e no food sostenibile. In un percorso di vera giustizia e concreta partecipazione. Solo così la mobilitazione di queste settimane avrà avuto un senso.


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