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La strage dei 103 ufficiali italiani e quella lapide che ancora non c’è. 73 anni dopo
02 Lug 2013 20:49

La piana di Linopoti, sull’isola di Kos, è bruciata dal sole rovente dell’estate greca. Poco più in là, verso il mare, c’é Tingakiuno dei luoghi più turistici di questa parte di Dodecanneso, con le sue taverne e i bar chiassosi. Difficili immaginare che in questo campo, settant’anni fa, le mitragliatrici tedesche della Wehrmacht uccidevano 103 ufficiali italiani, considerati traditori dopo l’8 settembre 1943.

È passata alla tragica storia della Seconda guerra mondiale come ‘l’eccidio di Coo (questo il nome dell’isola durante la dominazione italiana del Dodecanneso, 1912-1947)’, ma a ricordare quella strage, ancora oggi, non c’é né un monumento e neanche una lapide posta dallo Stato italiano. Solo una targa marmorea messa nel 1992 dal Comune di Kos nel piccolo cimitero cattolico dell’isola, e una campana donata in ricordo dei caduti dalla provincia di Latina.

Dopo l’armistizio tra l‘Italia e gli Alleati dell’8 settembre, truppe britanniche sbarcarono sull’isola per dar manforte alle forze italiane due battaglioni del 10.mo reggimento di fanteria ‘Regina‘ al comando del colonnello Felice Leggio -, temendo un’invasione tedesca. Ma quando, il 3 ottobre, la 22.ma divisione aviotrasportata della Wehrmacht attaccò l’isola, lo scarso coordinamento tra italiani ed inglesi permise una rapida vittoria delle forze tedesche agli ordini del generale Friedrich-Wilhelm Mueller.

Fatti prigionieri, gli ufficiali italiani vennero interrogati in una caserma dello stesso esercito italiano, oggi in rovina poco fuori dalla città di Kos: fu detto loro che sarebbero stati imbarcati su una nave ed avviati alla prigionia. Erano in 148, e solo sette passarono con i tedeschi. Altri fuggirono nella vicina Turchia. I restanti 103, mentre si avviavano con le valigie verso una nave che non c’era, furono fucilati il 6 ottobre nella pianura di Linopoti e sepolti in fosse comuni.

Solo 66 sono stati identificati, e i loro resti sono stati prima trasferiti – grazie a due religiosi, nel 1944 – nel cimitero dell’isola e poi nel sacrario militare di Bari. Gli altri sono ancora là, in qualche punto di quel campo assolato di Linopoti, dove nessuno ha mai deciso di cercarliPer quel massacro Mueller fu processato per crimini di guerra ad Atene, alla fine della guerra, condannato a morte e giustiziato nel 1947.

Mio padre, che era ufficiale del reggimento Regina, si salvò per puro caso da quella strage – racconta Nicola, avvocato italo-greco nativo di Kos – Era in Italia in licenzatrovare mia madre e noi figli, come testimonia il suo stato di servizio, quando ci fu l’8 settembre, e quindi non tornò più a Kos”. Il proprietario del terreno dove avvenne l’eccidio si è rifiutato di permettere gli scavi o di permettere ad alcuni privati di erigere una piccola cappella con i nomi dei caduti che avrebbe occupato solo pochi metri quadri, anche dietro compenso.

Nel 1958 l’allora presidente Gronchi conferì ai caduti la medaglia d’oro al valor militare. Nel 2006, ha scritto Forenza in un articolo, ci fu un’interrogazione parlamentare che chiedeva un’eventuale missione delle autorità italiane in loco e valutare la dedica di una lapide in memoria, ma non ci fu alcun seguito, causa scioglimento delle Camere.

“La cosa che manca davvero è una lapide dello Stato“, sottolinea l’avvocato che ricorda come giustamente un altro eccidio simile, anche se di maggiori proporzioni, quello di Cefalonia, sia solennemente ricordato. “È’ passato tanto tempo, ma iniziative del genere, così meritorie, non cadono mai in prescrizione“.


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