';

L’emozione di uno sguardo. Intervista ad Alessandro Averone
07 Dic 2016 08:37

Recentemente lo abbiamo visto su Rai1, in prima serata in “Io ci sono”, il film tv diretto da Luciano Manuzzi e ispirato alla reale storia di Lucia Annibali, la storia del riscatto di una giovane donna che non si è persa d’animo ma che ha combattuto contro la violenza dell’uomo con cui aveva una relazione, Luca Varani. A vestire i panni di quest’ultimo, abbiamo visto Alessandro Averone, un ruolo molto complesso che però l’attore torinese ha saputo rendere benissimo. Alessandro di strada ne ha fatta, da quando, al liceo, in corsi pomeridiani, ha scoperto il magico e affascinante mondo della recitazione. Ora spazia dal piccolo al grande schermo, attraverso il teatro, suo presente ma anche suo futuro dimostrando come un Attore riesca a dare prova di grande bravura. Alessandro Averone (di cui potete leggere l’intervista qui di seguito) ha una straordinaria capacità, ovvero quella di riuscire a comunicare attraverso uno sguardo, caratteristica di rara qualità per molti dei suoi colleghi, capace di generare emozioni come solo gli artisti veri sono in grado di fare.

Chi è Alessandro Averone oggi?

E’ un attore, qualche volta anche un regista. E’ un artigiano del teatro, del piccolo e grande schermo alla ricerca costante di scavare nell’anima umana per cogliere tutto ciò che genera emozioni.

Com’è scoccata la scintilla per la recitazione?

Abbastanza casualmente, in realtà. Al liceo, frequentavo un laboratorio teatrale pomeridiano; lo trovavo molto divertente. Per me, era un mondo particolare, magico il più delle volte. Da lì, è partito tutto. Ho infatti deciso di sostenere un provino per entrare all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico e fortunatamente è andata bene.

10926183_314750452064345_5672693245743205264_nE’ difficile oggi essere attore?

Credo che questa professione abbia le stesse difficoltà degli anni passati; forse in questo periodo, c’è molta crisi lavorativa e potrebbe apparentemente essere più complicato, non nascondo che non lo sia in effetti. Quando però ci sono dei momenti di crisi, ci sono anche momenti di grande creatività.

Ti abbiamo visto recentemente in “Io ci sono”, film sulla terribile vicenda di Lucia Annibali, un vero servizio pubblico per la Rai. Cos’ha voluto dire per te questo progetto televisivo?

Posso dirti che innanzitutto è stato un onore! E’ stata un’occasione abbastanza rara perchè non sempre riesci a lavorare su un personaggio dalle così tante sfaccettature e allo stesso tempo a partecipare a un progetto che ha un forte valore civile. Non è stata solo una sfida attoriale, ma anche fortemente umana che mi ha messo in contatto con l’ambientazione reale della storia che stavamo raccontando, con la presenza di Lucia sul set, con gli altri protagonisti della vicenda e con coloro che avevano respirato quella triste storia.

Il sottotitolo del film tv è “La mia storia di non amore”. Cosa sono l’amore e il non amore per te?

Credo che l’amore sia felicità, la gioia di raggiugerla attraverso la felicità dell’altro; il non amore non è altro che un solo prendere, senza comprendere che si dovrebbe invece brillare entrambi della stessa luce.

E’ stato difficile prestare il volto a Luca Varani?

E’ stato molto difficile cercare di comprendere il percorso psicologico ed emotivo che l’hanno spinto a compiere quello che ha fatto! Dovendo basarmi su una sceneggiatura, spero che al grande pubblico siano giunte tutte le possibili sfumature umane che ho cercato rendere impersonandolo.

Hai fatto parte di un grande film di Roberto Andò, “Viva la libertà”. Cos’è per te la libertà? Si potrà dire davvero viva la libertà?

Spero proprio di sì! Secondo me, le condizioni per farlo già ci sono, anche se la libertà totale è spaventosa e, allo stesso tempo, disarmante. E’ altrettanto vero che siamo solo apparentemente liberi, perchè in realtà condizionati da un’infinità di cose. E’ necessario avere ogni opportunità di fronte a sé, per poter scegliere e non farsi scegliere e per raggiungere i propri sogni. Credo la vera libertà sia un’enorme responsabilità.

Non solo cinema e televisione, ma anche tanto teatro. E’ fondamentale per un attore? Cosa rappresenta per te?

Per me, il teatro è una famiglia, a volte ristretta e a volte allargata. Ho iniziato da lì e ancora oggi continua ad essere il mio presente. E’ una realtà magica in cui niente è impossibile, in cui tutto diventa reale; è un viaggio che permette di entrare in empatia con chi è in ascolto generando forti emozioni da entrambe le parti.

35845_412563788685_3113636_nTi abbiamo visto in ruoli mai banali, anzi, in ruoli in cui non poteva non emergere la tua bravura. Su quali basi dici sì o no ad un ruolo?

Devo ammettere che, oltre al ruolo che di per sé può essere una prova più o meno allettante, mi interessa molto anche il progetto che sta dietro. Ci deve essere una sfida, perchè io dica sì; quel determinato personaggio deve avere un universo che mi interessa particolarmente.

Un film in cui sei stato il protagonista è stato “Max e Hélène” insieme a Carolina Crescentini. Una storia d’amore in cui si confrontano e si scontrano il desiderio della vendetta e la ricerca della giustizia. Cosa ti ha lasciato quel film?

Moltissimo! Un personaggio bellissimo all’interno di una bellissima cornice narrativa, costituita da situazioni estreme ma anche contraddittorie al suo interno. Il mio era un personaggio molto tormentato che mi ha permesso la possibilità di analizzare corde emotive opposte; ho portato al piccolo schermo chi fingeva di essere Max e chi in realtà era. “Max e Hèlen” è stato un film che aveva un forte messaggio civile; sono stato felicissimo di potervi partecipare! Lavorare con Carolina è stato molto bello, esattamente come con Cristiana per “Io ci sono”; devo dire sono sono state due partner lavorative eccellenti.

Hai portato in scena “Aspettando Godot’”di Samuel Beckett. Posso chiederti perchè proprio il drammaturgo irlandese? In cosa consiste la sua geniale modernità?

“Aspettando Godot”, esattamente come molti altri testi classici, ha una costante modernità, cioè ha sempre un messaggio che non impallidisce mai nel tempo. Amo molto Beckett; questo testo in particolare, ha, all’interno di una forte disperazione umana, una luce incredibile. Ha un messaggio di vitalità estremo; è un testo che suscita molto divertimento, ma anche, oltre che restituire un quadro della realtà così com’è, cerca di fornire una forza di reazione dinnanzi a una situazione disperata e disperante di quello che ci circonda.

Sei stato in scena con “Natura morta con attori” con regia di Alessandro Machìa. Una delle tematiche affrontate è quella della verità. Per l’essere umano è doverosa? Cos’è la verità?

Secondo me, è una necessità doverosa e c’è una costante ricerca di questa verità. Essendoci però un mistero intorno, si tenta di colmare le incognite con la religione, la filosofia o anche la scienza. Questo testo tenta di cristallizzare una verità che però risulterà fallimentare, come di fatto affermava anche lo stesso Pirandello.

Quest’intervista verrà pubblicata in Resto al Sud. Che tipo di rapporto hai con la parola Sud?

Associo la parola Sud con l’idea di avere una prospettiva diversa da quella che comunemente si utilizza; è una figura con le testa in giù, riuscendo a vedere così realtà e sfumature che altrimenti non sarebbero viste.

3047_76156203685_146171_nHai una carriera vastissima, ma hai ancora sogni nel cassetto?

Spero di continuare a misurarmi nel teatro, nel piccolo e grande schermo passando da una realtà all’altra.

I tuoi prossimi progetti?

Sto per cominciare la seconda stagione de “Il Paradiso delle signore” e a maggio iniziamo a fare le prove per il “Riccardo ||” con Peter Stein per il Festival di Spoleto che debutterà a luglio.


Dalla stessa categoria

Lascia un commento