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Ecco come morì il capobrigante Carmine Crocco
19 Giu 2017 10:15

Era il 18 giugno. Centododici anni fa. Il 18 giugno del 1905 alle ore 8,20 del mattino. Nel malsano carcere di Portoferraio sull’isola d’Elba, il direttore comunicò che “Crocco Carmine, pastore, celibe, possidente di qualche cosa, cattolico e residente a Rionero in Basilicata era morto di astenia senile”.

Morte naturale, dunque, morte di vecchiaia per acciacchi di un fisico provato da una vita travagliata e da una lunghissima detenzione. Una figura che segnò la storia del Sud post-unitario e preoccupò non poco i governi italiani a Torino. Un ribelle di origini contadine, che fu il vero “generale dei briganti”.

Lo Stato italiano pensava che sarebbe finito presto dimenticato, credeva che le sue gesta fossero esclusiva materia di noiosi atti giudiziari e archivi criminali. Invece, Crocco, grazie anche alle memorie riscritte dal capitano Eugenio Massa e a quelle più sgrammaticate di sua mano, raccolte dal dottore Saverio Cannarsa, è ormai figura-simbolo del brigantaggio nel Mezzogiorno d’Italia appena annesso al resto della penisola.

Così famoso che è il capobrigante che aleggia nel famoso romanzo “L’eredità della priora” di Carlo Alianello, riecheggia nello splendido romanzo storico “I fuochi del Basento” di Raffaele Nigro, è figura protagonista di film sul brigantaggio come “I briganti italiani” di Mario Camerini, o “Li chiamavano briganti!” di Pasquale Squitieri. E’ sempre Crocco la figura raccontata nel docu-film “Darsi alla macchia” di Fulvio Wetzi, o nel documentario “Carmine dei briganti il generale Crocco”.

Per non parlare poi delle due opere televisive, dove è tra i personaggi protagonisti: lo sceneggiato “L’eredità della priora” nel 1980 e la fiction “Il generale dei briganti” nel 2012. Soprattutto la prima, in sette puntate girate a colori, con la sceneggiatura cui collaborò anche Alianello, è ricordo vivo anche per la colonna sonora scritta da Eugenio Bennato e Carlo D’Angiò, diventata un vero cult.

Insomma, Carmine Crocco, che fu il capo della rivolta in Basilicata con sconfinamenti in Irpinia e Puglia, resta il vero “brigante nella memoria”. Due marce vittoriose nei paesi nel 1861, i contatti con i Comitati borbonici e la breve alleanza con il generale spagnolo legittimista Josè Borges spedito nel Sud, un esercito di contadini, pastori ed ex soldati borbonici che arrivò, nei mesi di maggiore potenza, a oltre duemila uomini.

Centododici anni dopo la sua morte e centocinquantesei anni dopo le sue gesta concentrate tra il 1861 e il 1864, Crocco è ricordato in decine e decine di convegni, ha un museo, una targa sulla sua casa a Rionero,  a lui sono dedicati decine di libri. E’ memoria-simbolo di ribellione, icona nei centri sociali e dei movimenti di protesta. La sua figura è guida e faro per comprendere quella guerra contadina che insanguinò il Sud subito dopo l’unità. Senza saperne qualcosa, si avrà della storia recente del Mezzogiorno una visione non completa.

Quando morì in carcere, dopo essere stato negli anni intervistato anche da psichiatri e antropologi, non aveva denaro, ma solo sei paia di calze di cotone, una maglia di cotone e una di lana, due berretti di notte. Povero era nato e povero morì, nonostante fosse stato un “generale di briganti” e si era seduto a tavola, dopo le sue conquiste, con notabili e potenti. Quelli che, mentre lui moriva, erano diventati parte della classe dirigente del Sud italiano. I Gattopardi.

Dal blog de www.ilmattino.it.


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