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Quant’è bella la mia Cosenza
13 Ott 2014 07:08

Sono appena tornato dalla mia Itaca dove vi ho trascorso 42 ore intense come non mai. La mia Itaca è Cosenza.

Ci sono nato tra quei Casali e vissuto per nove lustri frequentando bassi e attici, ville, villette, Villa vecchia e Villa Nuova e villanzurfa.

Il clima caldo di queste ore ammantava la mia città come nello splendore di certo maggio quando al Timpone degli Ulivi il sole ti ristora e l’aria tersa t’ubriaca come vino di Donnici, Ho rivisto la mia gente annacarsi gaudente come  è solita fare.

La bella vita sta a Santa Teresa e a Commenda con commendatori che commentano tutto, dal calcio al governo.

Ho fatto vasche giorno e notte, ammirando via Arabia, strada intitolata al sindaco Ambrogio Nathan, bruzio di laica fede. La Bagnante guarda l’acqua scendere e le statue di Consagra hanno preso il posto dei giovani borghesi che negli anni Settata sostavano da quelle parti con scarpe a punta. Ho visto il gran buco di piazza Fera, i cantieri aperti da tempo, l’accrocco di Calatrava, una festa popolare a Gergeri orfana, dei vecchi zingari ormai rom stanziali.

Ho visto studenti perdersi per la strada, come avviene ormai ogni ottobre da mezzo secolo, allo stesso modo del giovane Ugo Caruso che vedendo passar un corteo che invocava l’ateneo si chiese perché tutti inneggiassero a tal ‘Amedeo”. Città eretica e carbonara “sa Cusenza” libertaria.

Ho visto sotto il pronao del mio vecchio liceo venire i padri insieme ai figli, e le mamme con le amiche a guardare “le strade del paesaggio”. I fumetti che bellezza e tutti che aspettano Dylan Dogi “ca scappa ppe ramunu finu u Duomu”. Oggi piazza disadorna animata dal Brunelli e pochi hombre che combattono su tanti fronti le molte ombre delle fioche luci che adornano oggi il Colle Pancrazio.

Ho visto soprattutto la mia gente, quella della Terra di Piero. Passano gli anni e la voglia di viverla assieme la città è sempre più forte. Ma pur avendo tutte le buone intenzioni, le cose non riescono mai come si vorrebbe. E’ come una gassosa di Gallo, nu gelati i Zorro, una caramella di Ciccillo.

Ho riabbracciato Canaletta, oggi Sergio Crocco, poeta e teatrante, uno capace di imporre un teatro a un pubblico partecipe e innamorato, che aggiunge una linea a quel che fecero in passato Ciardullo e Zicarelli. La banalità del male e Leopardi parafrasato in dialetto in mezzo all’elaborazione del lutto per quelli che sono morti.

Amici che recitano, raccoglier fondi per fare pozzi, asili, scuole di cucito: quanti nomi, quanta gente che ancora assieme ride, ama, lotta, si diverte e “pu jistima”.

In quel teatro ad Itaca verso Arcavacata sentendo la voce sul palco di Pasquale e Gianfranco, di Rossella e di Cicciu bumma a manu, il fremito della radice mi ha commosso. Ovunque andrò nel mondo a cercar esperienza mai perderò il ricordo del cinema Astra e del San Vito e di quel popolo bruzio che ha forgiato la mia esistenza o quella di Ardenti, di padre Fedele, mastru Spedita, Mancini, Misasi, Zorro, Michele Bianchi, Michela a gatta, Freddy Scotti e Peppa a nivura,le nostre mamme, Ginarella, Lalla e appassionatamente tutti gli altri.

Perché, quando penso alla Giostra Vecchia, l’amore mio per Cosenza non muore ma rinasce sempre come l’Araba fenice.


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