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“Recitare è come un viaggio in cui “Tutto può succedere”. Intervista a Giulio Beranek
01 Giu 2017 07:35

Giulio Beranek è un volto che sta diventando sempre più noto nel piccolo e nel grande schermo. Si avvicina al calcio entrando a 13 anni nel settore giovanile dell’Olympiakos. Un infortunio al ginocchio, però, lo costringe ad abbandonare ben presto la carriera di calciatore. Di padre ceco e madre di origini spagnole, la sua è una famiglia di origini circensi; gira l’Europa dalla nascita, dalla Puglia alla Grecia, dalla Turchia ai Balcani. Diventa attore in maniera del tutto fortuita, diventando protagonista di “Marpiccolo” di Alessandro di Robilant, suo film d’esordio. Partecipa poi a diverse fiction televisive di successo come “Distretto di Polizia” e “Tutta la musica del cuore”. In queste settimane, lo stiamo vedendo nella seconda stagione di “Tutto può succedere” diretto  da Lucio Pellegrini, al fianco di giganti del cinema italiano come Giorgio Colangeli, Maya Sansa e Pietro Sermonti, solo per citarne alcuni.  In questa serie tv, lo vediamo vestire i panni di un personaggio che sta letteralmente conquistando il pubblico, cioè Lorenzo, un giovane ragazzo che vive sotto il segno del cambiamento con la speranza di potercela fare perché ha scelto di tentare di intraprendere la strada più faticosa ma anche quella giusta.

Chi è Giulio Beranek?  

Oggi è un pochino più facile rispondere a questa domanda; a 30 anni è riuscito a fare luce su tutta la prima parte della sua vita che è legata alla sua famiglia, una famiglia di circensi da generazioni che ha lasciato il mondo del circo e che si sono reinventati giostrai. E’ nato tra giostre e lunapark, durante uno spostamento tra Taranto e Putignano. 

Sei cresciuto viaggiando, ma cos’è per te il viaggio?

Per me, il viaggio è ossigeno, è l’essenza della mia vita, anche tuttora. Mi sto trovando bene a fare questo mestiere perché mi permette di essere in continuo movimento. Molto spesso sul set ci sono i camper; ecco che negli angoli di tempo in cui aspettiamo di girare e ci troviamo all’interno delle roulotte mi sento a casa. Quando, dopo “Marpiccolo”, ho preso casa a Roma dopo circa sei mesi ho cominciato a soffrire la staticità di star fermo. Oggi come oggi, ho trovato una via di mezzo tra lo stare a Roma, dove sono richiesto per esigenze lavorative, e il ritornare in Puglia, dove c’è il mio terreno, la mia casa viaggiante e la mia famiglia.

Figlio di madre spagnola e di padre ceco, ma sei  nato a in Puglia. Cosa rappresenta Taranto?

Fino all’età di 7 anni con la mia famiglia ho girato tutta la Puglia, per poi andare in Grecia per una trasferta estera, luogo in cui siamo rimasti per  nove anni, fino ad arrivare in Turchia e nei Balcani. A 15 anni siamo tornati a Taranto per iscrivermi al liceo classico. Il mio diploma è combaciato proprio con il mio ingresso nel mondo del cinema. Taranto è il luogo che riesce a essere la congiunzione perfetta delle fasi della mia vita, trascorrendo lì l’infanzia, parte della mia adolescenza e ora, che sono uomo, quando posso ci ritorno sempre. Taranto per me è casa, in particolare il terreno dove sta la mia roulotte.

Com’è nato l’amore per la recitazione?

Tutto è nato da un incontro fortuito e del tutto casuale, quando Giuseppe Bonito e Stefania Rodà erano nella mia zona tarantina per conto della Overland Productions per il film di Alessandro di Robilant alla ricerca del protagonista. Sono stato visto e seguito per diverso tempo, anche se di fatto non avevo intenzione di intraprendere il percorso recitativo; è stato merito del regista che si è avvicinato a me non solo come professionista ma soprattutto come persona il mio iniziare a muovere i primi passi in questo magico mondo. Da lì abbiamo cominciato a fare dei provini; il tutto è durato poco perché sono stato scelto praticamente subito. Dal primo giorno di set, ho capito che quello poteva essere il mio mestiere.

Il viaggio e il cinema. Cos’hanno in comune?

Vedo la recitazione come un viaggio continuo, un costante ricercare nell’animo umano, per poter poi riutilizzare in scena; è una sorta di viaggio in me stesso. Se non vivessi e provassi alcune emozioni non credo riuscirei a trasmetterle al grande pubblico.

Il tuo esordio è con “Marpiccolo” è un film di Alessandro di Robilant, in cui hai interpretato Tiziano. Chi era questo giovane? Che esperienza è stata per te?

E’ un racconto di microcriminalità in un quartiere molto difficile di Taranto, uno di quei quartieri  operai nati dopo la nascita dell’industria. L’ Ilva e la microcriminalità sono le due principali realtà della città. Un racconto su Taranto non può essere slegato da un racconto di aria pulita, di inquinamento, di abuso e di violenza al territorio. E’ così prepotente questo grande mostro della città che, credo, chiunque possa sentirsi coinvolto perché percepisci il suo odore, ne senti il suono  e lo vedi anche con gli occhi, è ovunque. “Marpiccolo” è stata l’esperienza cruciale della mia vita, non mi sono mai trovato a disagio o in tensione nel dover affrontare una scena. 

Hai partecipato a fiction di successo come  “Distretto di polizia” e “Tutta la musica nel cuore”. E’ difficile essere attore?

Tantissimo! E’ difficile per molti aspetti, sia per partecipare ai provini e per superarli, sia dal punto di vista psicologico perché ti mette in dubbio costantemente sotto l’occhio attento di qualcuno che deve approvarti o meno. Questo mestiere è ancora più complicato svolgerlo in Italia che ha un’industria che sembra che a volte stia ripartendo e a volte si stia fermando. Sicuramente se ci fossero più progetti, ognuno di noi avrebbe più possibilità di lavorare ma, essendo io un ragazzo che non ha seguito l’iter classico delle accademie ma che si è  trovato per caso in questo mondo, non posso lamentarmi, anzi posso solo ritenermi molto fortunato.    

Ora sei in tv con la fiction di successo “Tutto può succedere” giunta alla sua seconda stagione. Posso chiederti perché hai deciso di continuare questo viaggio televisivo?

Innanzitutto perché è stato un racconto accolto molto bene dal pubblico; oggi come oggi, esiste molta tv di qualità ma anche molta tv spazzatura, ecco che “Tutto può succedere” fa parte di quella tu che sa regalarti le sfumature della vita in un racconto guidato da due registi bravi e competenti con un cast strepitoso che ti permette di imparare. Credo infatti che l’attore debba avere anche una briciola di furbizia nel saper “rubare” ai propri colleghi quelle qualità che tu,  attore in erba, ancora non hai maturato.

Interpreti Lorenzo. Ci racconteresti di lui?

E’ un personaggio al quale sono molto affezionato perché mi permette di avere polso dal punto di vista recitativo e ha un’evoluzione che non potevo lasciare a metà. Nella prima stagione, conosciamo un ragazzo che sta ancora scontando la sua pena, che sta svolgendo lavori socialmente utili per riscattarsi. In questa seconda stagione in corso andiamo oltre, cerchiamo cioè di analizzare come può trovarsi nel mondo un ragazzo che per anni è stato fermo in carcere, un giovane che ha scelto una strada sbagliata e che ora sta tentando di entrare nella normalità della realtà di tutti i giorni.

“Tutto può succedere”, prima e seconda stagione parla di famiglia. Per te cos’è la famiglia?

E’ l’albero sotto il quale torniamo quando siamo troppo accaldati o anche troppo infreddoliti, quando ci sentiamo un po’ persi. La famiglia è quel qualcosa che mi permette di andare avanti, motivo per cui sento il bisogno di tornare, perchè è impossibile andare avanti se non torni indietro.

Lorenzo sceglie di cambiare, un cambiamento onesto in questa sua rinascita perchè l’ha scelto lui. Oggi tu pensi ci possa essere per i giovani la possibilità di scegliere e non di farsi scegliere? Perché?

Per esperienza personale, penso sempre che ci sia la possibilità di scegliere, a mancare forse è la forza. Siamo soliti prendere la strada più semplice che è anche la più breve, dimenticandoci che probabilmente è quella più difficile, nonché la più lunga, a permettere di salvarci. Se si viene per esempio da una famiglia di lavoratori, si comprende subito che bisogna  combattere per conquistare la bellezza della vita. Facciamo parte di un Paese che sta avendo sempre più difficoltà, soprattutto per i giovani; probabilmente faccio parte di quella generazione che non crede più a nulla e che si sente abbandonata a se stessa. Un po’ come Tiziano e un po’ come Lorenzo, sono un ragazzo che ha fatto diversi errori e sono pienamente consapevole che anche anche nei miei anni più difficili ho sempre avuto la possibilità di scegliere.

Cosa vorresti arrivasse di “Tutto può succedere” al grande pubblico?

Mi auguro che sappia far ridere, ma anche piangere perché è esattamente come la vita, ovvero una continua salita. Mi auguro che arrivino l’onestà e la sincerità intellettuale mia e di tutti coloro che hanno lavorato a questo progetto.

Quest’intervista verrà pubblicata in Resto al Sud. Qual è il tuo rapporto con la parola Sud?

Il Sud come regione, come meraviglia del mondo, ma anche come qualcosa che sta in basso. Casa mia è sempre stato un fazzoletto di terra dove ogni volta andavamo a costruire.

I tuoi prossimi progetti?

Prossimamente uscirà “Una questione privata”, il film dei fratelli Taviani dove ho recitato nuovamente al fianco di Luca Marinelli nel ruolo di Ivan. Recentemente ho fatto parte di un film per la tv con Fabio Mollo che parla di Renata Fonte. Sto girando la seconda stagione di “Rocco Schiavone” per Rai2. A breve, uscirà anche un romanzo scritto a quattro mani con Marco Pellegrino, edito da Bompiani e racconta di un ragazzo che nasce in un luna park, che viaggia e cerca di capire dove si trova.


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