';

Al #Sud solo soldi blindati, destinati alle zone di sviluppo #industriale
18 Ago 2015 06:33

L’effetto dirompente che ha avuto il rapporto sul Sud della Svimez, ha sorpreso un po’ tutti.

La Questione Meridionale, che ad alcuni sembrava un piagnisteo, perché archiviata da decenni, è tornata all’attenzione nazionale.

Sarà per i dieci milioni di voti che vale, sarà perché si è scoperto che la falla riesce ad affondare la barca-Italia, si sono mossi più soggetti in campo.

Molti di questi, assolutamente impreparati sull’argomento e poco appassionati ad esso, hanno domandato al compagno di banco informazioni sul tema da svolgere. E sono venuti fuori idee e progetti, a volte incisivi a volte evasivi.

Alcune nobili testate nazionali, purtroppo, hanno mostrato strano pudore ad affrontare la materia.

E questo va amaramente sottolineato.

Forse pensare di dover mandare soldi al Meridione, ha riportato alla mente vecchie storie, scritte proprio nel meridionalismo. Storie di clientele, di finanziamenti barattati con voti, di mafie infiltrate che hanno fatto man bassa degli appalti e di cittadini non sempre virtuosi nei riguardi dello stato.

Tutti lecitamente possiamo avere di queste resistenze. La sfida di quello che io chiamo neomeridionalismo, consiste in come zigzagare tali birilli esiziali.

Una proposta interessante, è stata quella di Giorgio La Malfa, che a proposito delle condizioni affinché la grande e media impresa tornino ad investire al Sud, ha tenuto conto delle distonie da superare.

La Malfa parla di rispolverare il vecchio schema delle aree di sviluppo industriale, ma in una nuova dimensione.

Si tratterebbe di individuare in ogni regione meridionale, una o due aree di sviluppo, dove assicurare: la continuità delle forniture di servizi, come l’acqua, la corrente elettrica, internet, l’onestà e l’efficienza delle amministrazioni locali, il rapporto con le Università, un sistema bancario pronto ad aiutare gli sforzi e la sicurezza da opporre in campo per i fenomeni di grande e piccola criminalità. Il tutto con un regime di fiscalità e contributivo non disponibili altrove.

La Malfa dice che che per attuare un tale programma, bisogna individuare una sede di governo dove siano concentrate tutte le responsabilità e stabilire le forme di collegamento con le regioni interessate.

La proposta di La Malfa, che ha i crismi delle dottrine economiche, può sembrare un po’ retrò e lui stesso lo ammette. E l’area protetta, nel 2015, da’ al Meridione un tono da Far West, per usare una metafora.

Ma nel Sud – in questo Sud – un intervento così perentorio non è assolutanente da scartare.

In un momento di emergenza totale come quello attuale, con tutte gli “aneliti” di diffidenza, che proliferano da ogni dove, dalla politica, al giornalismo, agli intellettuali e agli imprenditori, bisogna dare una garanzia forte. Lo Stato deve mostrare la faccia della fermezzza tipica dei momenti difficili.

La Malfa non la mette su un piano così perentorio, quindi la sua proposta va irrobustita soprattutto sul piano del controllo burocratico e della sicurezza

Non siamo ingenui ed immaginiamo quante canaglie si stanno sfregando le mani sui soldi che arriveranno.

A questo punto, convogliare gli investimenti in recinti chiusi, può sembrare una forzatura, ma darebbe la certezza di uno stato di diritto, magari inflessibile.


Dalla stessa categoria

Lascia un commento