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Autonomia finanziaria e gestione degli #Atenei. Si allarga la frattura tra le #Università del Nord e quelle del #Sud
11 Dic 2015 08:10

Un Nord e Sud della penisola divisi non solo dai dati economici ma anche da quelli della formazione universitaria. Sono i risultati di uno studio della Fondazione Res di Palermo sui “Nuovi divari – Un’indagine sulle Università del Nord e del Sud”.

Si parte da un dato che riguarda tutti gli atenei: il sistema si è rimpicciolito di un quinto dal momento della sua massima espansione (2008), gli studenti immatricolati si sono ridotti di oltre 66 mila (-20%); i docenti sono scesi a meno di 52 mila (-17%); il personale tecnico amministrativo a 59 mila (-18%); i corsi di studio a 4.628 (-18%); il fondo di finanziamento ordinario delle università è diminuito, in termini reali, del 22,5%.

Ma quello che sembra più preoccupare in prospettiva è il fatto che in Italia si investono 7 miliardi nel fondo destinato all’Università contri i 26 della Germania e che la migrazione tra atenei è solo a senso unico: da Sud verso Nord.

“Si va disegnando”, si legge nel Rapporto, “un sistema formativo sempre più differenziato fra sedi più e meno dotate (in termini finanziari, di docenti, di studenti, di relazioni con l’esterno), con le prime fortemente concentrate in alcune aree del Nord del paese. Le nuove regole di governo del sistema stanno accentuando questa biforcazione”.

Oltre il 50% del calo degli immatricolati è concentrato nel Mezzogiorno (-37.000 dal 2003-04 al 2014-15); maggiore è la quota di studenti che abbandona gli studi universitari dopo il primo anno (il 17,5% al Sud, contro il 12,6% al Nord e il 15,1% al Centro). Inoltre, il tempo medio di completamento di un corso triennale è 5,5 anni al Centro e al Sud, e 4,5 al Nord. La diminuzione del personale docente di ruolo è stata del 18,3% nel Mezzogiorno, a fronte dell’11,3% al Nord e del 21,8% nelle università del Centro.

Sul banco degli imputati finiscono le politiche per il diritto allo studio e la gestione stessa degli atenei. “Le politiche per il diritto allo studio e i servizi agli studenti gestiti dalla regioni e dallo stato centrale penalizzano maggiormente gli studenti del Mezzogiorno provenienti da famiglie meno abbienti”, sottolinea lo studio. Ma le inefficienze riscontrate nell’offerta didattica, nella qualità della ricerca e nella qualificazione del personale docente “chiamano chiaramente in causa anche il modo in cui sono stati gestiti gli atenei del Mezzogiorno”.

I cambiamenti recenti nei meccanismi di finanziamento degli atenei aumentando fino al 20% la quota premiale legata a risultati conseguiti nella didattica e nella ricerca tendono paradossalmente ad aggravare il quadro, secondo la ricerca, “perché penalizzano le università del Mezzogiorno per la loro inefficienza senza spingerle realmente su un sentiero di miglioramento e di maggiore responsabilizzazione”.

Nel rapporto si evidenzia come la via di uscita dalla spirale perversa vada cercata “piuttosto in interventi che separino i meccanismi di finanziamento ordinari degli atenei dai problemi di recupero delle condizioni di efficienza”, che possono essere invece considerati “come un obiettivo di specifiche politiche di sviluppo e coesione, e come tali possono quindi attingere alle risorse nazionali ed europee destinate a questi interventi”.

Tra gli esempi citati “il miglioramento delle competenze degli studenti in entrata, alle borse di studio e ai servizi, ma anche al rafforzamento delle attrezzature e delle risorse per la ricerca scientifica”.

Ma naturalmente, concludono i ricercatori della Fondazione “affinché questi interventi possano essere efficaci, è necessario collegarli a condizionalità ben disegnate e a strumenti di valutazione adeguati dei risultati raggiunti, ed è soprattutto necessario che cresca la consapevolezza di chi opera nelle università e di chi ha compiti di direzione, che l’autonomia senza responsabilità non ha futuro”.


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